Ammettiamolo. Il nostro paese è uno strano paese. Il giorno prima il principale leader del centro destra ha un lungo colloquio con il Premier per definire i dettagli della “grande riforma” costituzionale, istituzionale ed elettorale e il giorno dopo il suddetto capo del centro destra viene condannato definitivamente ai servizi sociali. In un qualsiasi altro paese europeo tutto ciò sarebbe semplicemente uno scherzo o una carnevalata. Da noi è semplicemente la prassi. Anzi, la normalità.
Ora, diventa francamente difficile capire quale sarà l’iter delle riforme. L’unica cosa sicura è che essendoci ormai solo più partiti “personali”, nessuno degli attuali parlamentari vuole interrompere la legislatura e quindi andare a casa senza sapere se ritorna in Parlamento. Quindi tutto diventa secondario. Riforme comprese. L’obiettivo è unico: andare il più avanti possibile perché del ” doman non v’è certezza”.
Quello che resta indefinito e praticamente – e difficilmente emendabile – certo è che la proposta che avanzerà il Governo non sarà modificabile. A prescindere dai contenuti e dal profilo del nuovo assetto istituzionale del nostro paese. E questo per una ragione molto semplice che il Premier ha già più volte ricordato: se salta la “grande riforma” si corre immediatamente al voto. Senza se e senza ma. Insomma, la riforma deve passare e nessuno può intralciarla. Intendiamoci: la riforma è necessaria e si deve procedere speditamente. Su questo versante nessuno può accampare motivazioni di sorta. Ma è indubbio che in un clima politico dove la “personalizzazione” è diventata prassi comune in tutti i partiti – dal Pd al Pdl, dalle 5 stelle a Vendola, Alfano e Casini – qualunque confronto e dissenso sono destinati a rientrare prontamente. O perché c’è sul tavolo la continua minaccia del voto o perché si rischia di essere dipinti, nei rispettivi partiti, come quelli che coltivano l’unico obiettivo di bloccare le riforme e rallentare la modernità del nostro paese.
Non c’è dunque alternativa. O il pacchetto delle riforme passa tutto in un blocco oppure salta il tavolo. Tertium non datur. Ecco perché, almeno per chi continua a credere nel confronto democratico e nel valore del dissenso, il dibattito sulle riforme non può essere esclusivamente appaltato ai “padroni del vapore”. Se così fosse, o se così diventasse, non lamentiamoci se il profilo e la qualità della nostra democrazia sono destinati ad impoverirsi progressivamente. Certo, è difficile ragionare pacatamente e confrontarsi nel merito quando il bombardamento mediatico surclassa e tacita qualunque voce dissenziente. Ma, al di là delle mode e della consueta “santificazione” politica a cui ormai siamo abituati da svariati lustri, agli “amanti” della democrazia non resta che continuare a prestare forte attenzione ai contenuti. Soprattutto quando si parla di regole elettorali, istituzionali e soprattutto costituzionali. Ce lo chiede proprio la cultura politica democratica e costituzionale.
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