Scritto da Gabriele Richetti
La batteria più alta d’Europa
È la fine dell’800 quando il Monte Chaberton, 3.130 mslm, viene scelto come sede di quello che diventerà il forte più alto d’Europa.
Nel 1898, sulla scia della convinzione che fosse necessario potenziare le difese poste ai confini con la Francia, Luigi Pollari Maglietta – ufficiale del Genio del Regio Esercito – inizia a dirigere la costruzione del forte, che ancora oggi domina minaccioso le vallate circostanti.
Ciò che già si intuisce, in quell’anno lontano, è che il forte non avrà vita facile.
All’interno del forte
In effetti, costruire un forte a più di 3.000 metri di altezza poteva rappresentare una sfida ingegneristica di non poco spessore. Il Monte Chaberton, tuttavia, era sì aguzzo e decisamente roccioso, ma con una cima che ben si prestava ad essere spianata e livellata. Si trovava inoltre in posizione assolutamente strategica, a cavallo tra la Val di Susa e il Sestriere, affacciato sul valico del Monginevro e sulla Francia fino a Briançon.
Nel giro di dodici anni, nel 1910, la sentinella dei monti è pronta.
Dispone di otto torrette di pietra di tipo navale, ciascuna con una cupola rivestita che nasconde un cannone capace di ruotare di 360°. Siamo a inizio ‘900: a quell’epoca i proiettili di artiglieria sono a gittata molto curva e non riescono ad arrivare ad altezze così elevate come quella a cui si trova il forte. Le torri di pietra non vengono perciò adeguatamente corazzate, un errore che, una trentina di anni dopo, si rivelerà fatale.
D’altra parte, l’epoca consiglia di giocare le proprie carte in verticale: più si è in alto e più si è – in teoria – al sicuro dai colpi nemici. Il forte, protetto da uno scalino roccioso di diversi metri e dalle nuvole che lassù dimorano, è un parallelepipedo costituito, oltre che dalle torri, da due lunghi corridoi. Il primo ospita i magazzini, le cucine, un’infermeria e un centro di comando; il secondo è sede delle camerate destinate ai 320 soldati lì stanziati.
La vita a quell’altezza per i soldati non è facile: nebbia, gelo e neve sono per i primi anni i principali nemici.
Il primo battesimo del fuoco
Scoppia la Prima Guerra Mondiale. Il battesimo del fuoco, tuttavia, è ovviamente rimandato: quella Francia indicata come principale nemico da cui difendersi, durante gli anni della costruzione del forte, è alleata del Regno d’Italia. Il fronte è perciò utilizzato in altro modo: gli otto cannoni vengono smontati e trasportati sul fronte orientale, dove sono decisamente più utili che sullo Chaberton, puntati su un Paese alleato.
La Seconda Guerra Mondiale e il giugno 1940
Terminata da qualche anno la Grande Guerra, nel 1927 le bocche da fuoco vengono ricollocate all’interno delle torri del forte. Nubi minacciose si addensano sull’Europa: lo Chaberton si prepara ad un’altra guerra e a un diretto – questa volta – coinvolgimento, decisamente più devastante del primo.
Il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra. Questa volta, la Francia è il nemico.
I tempi sono cambiati: i proiettili di artiglieria moderni non sono più a gittata ad arco come quarant’anni prima, ma a traiettoria decisamente più alta e tesa. Gli oltre 3.000 m di altezza e la parete rocciosa del monte non sono più un riparo: il forte non è più al sicuro.
Nessuno degli artiglieri dello Chaberton abbandonerà il forte: il bilancio sarà di 9 morti e 50 feriti.
La fine del forte dello Chaberton
Abbandonato dopo il bombardamento e la successiva fine della guerra, il forte non fu più ricostruito e nel 1957 la Francia impose all’Italia di smantellarlo definitivamente.
Profanato in ogni sua parte, il gigante di pietra continuò comunque a lottare contro il passare del tempo e le rigide condizioni atmosferiche, due nemici quasi più feroci dei proiettili. Oggi, quella che fu una delle sentinelle delle Alpi, è meta di escursionisti e trekker, ai quali offre le sue torri svuotate, i corridoi perennemente ghiacciati e i muri sgretolati.
Paradossalmente, quasi a voler ulteriormente infierire sui suoi resti, oggi il forte dello Chaberton e il suo scheletro si trovano in territorio francese, a seguito dei Trattati di Parigi del 1947.