di Moreno D’Angelo
Sono tanti i film che hanno raccontato l’olocausto ma “Il figlio di Saul” pare riuscire a distanza di 70 anni qualcosa di riaprire in modo nuovo l’attenzione e il dibattito prima della giornata della memoria. La pellicola ungherese, diretta del regista esordiente Làzlo Nemes, descrive quanto succede nell’inferno dei crematorium di Aushwitz-Birkenau come protagonisti gli uomini del sonderkommando (ebrei costretti a ripulire le camere a gas e a far sparire montagne di ceneri prima di essere a loro volta eliminati dopo quattro mesi di lavoro).
Il film, premiato nell’ultimo festival di Cannes e vincitore del golden globe come miglior film straniero, ha come attore protagonista Géza Rohrig , un poeta magiaro dal fare schivo e pacato, alla sua prima esperienza davanti una cinepresa, ora oggetto dell’interesse dei media.
Il film inizia con la scena di un gruppo di deportati che nudi vengono spinti dentro la camera a gas. Quel delirio di follia umana non ha bisogno di concessioni sul macabro ma resta impresso il rumore dei pugni quando i deportati si accorgono che stanno per morire avvelenati dal gas. Le continue urla dei nazisti fanno da contraltare al silenzio del protagonista e dei suoi compagni del sonderkommando. Più che dialoghi sono bisbigli, sguardi che esaltano la straordinaria interpretazione dell’attore esordiente protagonista della vicenda. La storia si sviluppa intorno al corpo di un ragazzo a cui il protagonista del film, dopo averlo prelevato dalla camera a gas,(respirava ancora ma fu poi soffocato da un medico nazista) vuole a tutti i costi dare una dignitosa sepoltura anche ricorrendo alla preghiera (kaddish) di un rabbino che cerca disperatamente tra i deportati. Un modo per descrivere come anche in quell’inferno dove i corpi umani sono chiamati dai nazisti “pezzi” da bruciare e cancellare, qualcuno, anche non necessariamente religioso, possa trovare la forza, correndo tutti i rischi possibili, di dare tutto se stesso per ridare valore e dignità al corpo di un defunto. Il corpo di un giovane che il protagonista vede come un figlio. Lo lava, custodisce trasporta con se fino all’ultimo questa salma mentre tutto intorno i corpi sono umiliati, cancellati, smembrati, bruciati sia da vivi che da morti dalla follia nazista. Uno sforzo sublime e silenziosi di elevazione e dignità.