A Torino il così detto movimento dei Forconi sta assumento i connotati di una sollevazione popolare.
Nelle piazze ci sono persone di età e provenienze diverse, probabilmente lontane anni luce nel modo di pensare, ma accomunate da una condizione di precarietà quando di non vera e propria povertà materiale.
Senza futuro ed esasperate. Tanto sarebbe bastato anni fa per parlare di bisogni proletari e di occasione per la sinistra, mentre oggi è proprio il totale fallimento della sinistra istituzionale ad essere l’elemento più evidente.
Se infatti destra c’è oggi in piazza, non è tanto politica quanto culturale.
Negli ultimi decenni, i territori abbandonati a se stessi o le famiglie lasciate a combattere con una quotidianità precaria, sono stati riempiti da un insieme di cultura aziendalista, populista, semplificatoria e razzista. Berlusconi, fascisti e imprenditori hanno fatto “il loro lavoro” e hanno potuto agire grazie all’acquiescienza dello schieramento, apparentemente, avversario.
Ed ecco che la bandiera italiana è comparsa improvvisamente alle manifestazioni del Pd o come simbolo di un unità nazionale mai raggiunta per le disuguaglianze tra nord e sud.
In quegli anni nacono anche i lager Cpt-Cie, grazie a una legge che porta il nome di Giorgio Napolitano e di Livia Turco.
Queste stesse persone oggi gridano al pericolo fascista che proprio loro hanno contribuito a far nascere.
Detto ciò, i rischi di una deriva reazionaria esistono eccome, ma perchè l’Italia è diventata fondamentalmente un Paese di destra, politicamente e culturalmente.
L’unico vero argine che sembra esserci oggi nelle piazze è rappresentato dai centri sociali, gli studenti, i migranti, che con tutti i limiti sono stati fin dall’inizio dentro questo movimento.
Con difficoltà e non senza contraddizioni, ma è grazie a loro se oggi i leader di Forza Nuova o Casa Pound non sono alla testa dei rivoltosi.
Torino è stata e rimane una realtà a sè, un sud nel profondo nord, un laboratorio possibile per il cambiamento, o per un avvitamento su se stessa.
Gli unici che sembrano continuare a non capirlo siedono oggi nelle stanze del governo territoriale.
Paolo Sollecito
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