Non vogliono che la scuola cada sulle loro teste. Di tragedie, ad esempio quella del liceo Darwin di Rivoli, ne hanno viste troppe. E hanno pianto davanti agli ospedali o al funerali dei loro compagni, come a quello di Vito Scafidi.
Dunque non resta che urlare la loro rabbia, spontaneamente, autorganizzandosi, tra collettivi dei licei e degli istituti superiori di Torino.
«Appena la settimana scorsa – denunciano gli studenti – al Regina Margherita si è verificato un crollo delle vetrate del cortile, mettendo in pericolo la vita degli studenti. Rischi di questo genere non sono nuovi alle cronache e anche se per questa volta la tragedia è stata evitata non è più accettabile che questa condizione di degrado generalizzata nelle scuole continui nell’indifferenza più totale delle istituzioni».
Così un centinaio di studenti hanno preso striscione e megafono e hanno occupato il cortile di Palazzo Cisterna per rilanciare la manifestazione del 15 novembre, giorno dello sciopero generale indetto da Cgil, Cisl, Uil, e contro le condizioni fatiscenti in cui versano le strutture scolastiche.
La Provincia è infatti responsabile dell’edilizia delle scuole e così i collettivi Gioberti, Gobetti, Regina Margherita, Alfieri, Galileo Ferraris e di tutti gli istituti del capoluogo piemontese hanno chiesto un incontro con il presidente Antonio Saitta che ha accettato di ricevere una delegazione.
Uno striscione esposto con la scritta “Finché le scuole continuano a crollare, continueremo a lottare”. Firmato: “Studenti verso il 15 novembre”.
Una sola richiesta: che il presidente della Provincia scendesse a parlare con loro. Ma, come detto, Saitta ha chiesto di confrontarsi solo con una delegazione. Proposta che i ragazzi hanno rispedito al mittente: «Non ci interessa – rimarcano – né avere un colloquio privato con simili personaggi capaci solamente di scaricare le proprie responsabilità su chi sta più in alto o di promesse che puntualmente cadono nel vuoto né di cadere nelle logica partitica della delega che si è sempre rivelata inutile e controproducente; ma vogliamo al contrario un confronto pubblico in cui queste persone rendano conto, mettendoci la faccia, del proprio operato».
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