Già la calcolata visita di Matteo Renzi avrebbe dovuto far riflettere. Le tecniche comunicative del premier, o meglio, dell’esperta compagine twittatrice che lo assiste, hanno insegnato che ben poco viene lasciato al caso, laddove ogni foto o tweet, intervista o battuta, gelato o passeggiata, cela una mirata strategia comunicativa per apparire robusti, belli e sani, nonostante non propriamente tutto navighi in condizioni di buona salute. Matteo Renzi ha visitato gli stabilimenti di Detroit, non di Torino, mettendo necessariamente l’accento sui cambiamenti in atto in casa Fiat, accettandoli senza parola proferire, e rinnovando il reciproco endorsement con Sergio Marchionne, amministratore delegato non solamente della nascente Fca ma anche di un modello di organizzazione che sta oramai contagiando il nostrano mondo del lavoro. Nella prima settimana di ottobre, alla città di Torino, è stato presentato il preventivo conto, per un futuro sempre più senza Fiat. La rimozione del marchio, il trasferimento della sede, la quotazione del titolo a Wall Street, eccetera: asciugate le lacrime dei nostalgici e dei sentimentali, la faccenda può realmente essere menzionata come solamente simbolica?
Lo storico sbarco in America
Domenica mattina Torino non si sveglierà senza la Fiat, esclamare il contrario è una forzatura titolistica, perché gli stabilimenti attualmente attivi sotto la Mole rimarranno, anche se non si sa fino a quando. Questo il reale problema di una città come Torino, nonostante la questione venga ripetutamente negata, e magari bollata come allarmistica e esagerata, senza però offrire una concreta spiegazione su quanto sta avvenendo e soprattutto su quanto avverrà. Sabato notte verrà realizzato il cambio della società, da lunedì il quartier generale di Fca si trasferirà a Londra in Saint James’s street, nel cuore della City, e dagli edifici torinesi del gruppo automobilistico sparirà lo storico logo Fiat. Dopo 111 anni il marchio Fiat finirà negli archivi e l’acronimo Fca (Fiat Chrysler Automobiles) esordirà a Wall Street, nell’anniversario della scoperta dell’America, abbandonando la Borsa italiana di Piazza Affari.
Il ritiro progressivo di casa Agnelli
La quotazione di Fca a Wall Street cambierà le carte sul tavolo, sicuramente, magari non immediatamente, ma a stretto giro qualcosa varierà. Già le parole di John Elkann hanno servito l’antipasto: “Non vendiamo, ma gli Agnelli potrebbero contare di meno”. Nell’intervista rilasciata a Businessweek, rivista americana di economia, Elkann ha dichiarato che in un domani potrebbe modificarsi l’assetto del gruppo Fca, con l’ingresso di nuovi soci. Il presidente della Fiat, a tre giorni dalla piena operatività della fusione con Chrysler, ha praticamente smentito quanto aveva detto lo scorso 1° agosto, durante l’ultima assemblea degli azionisti, svolta al Lingotto di Torino. Attualmente la quota del gruppo detenuto dalla cassaforte Exor è del 30%, ma Elkann ha dichiarato che nel caso in cui si presentasse la possibilità di “rendere la società più forte” attraverso una fusione si valuterà. Indizio pericolante per Torino.
L’anticipato annuncio di Marchionne
Anche Sergio Marchionne non ha mancato di far sentire la sua voce, in un momento così particolare come quello del trasferimento della società negli Stati Uniti d’America. Il manager italo-canadese, parlando anche lui al settimanale Businessweek, ha ufficializzato l’intenzione di lasciare, fra qualche anno, la sua poltrona da amministratore delegato del gruppo, quando andrà a compimento il piano industriale quinquennale presentato lo scorso maggio: “Dopo il 2018 farò sicuramente qualcos’altro”. Già l’anno scorso il presidente Elkann aveva alluso ai nomi di possibili sostituti di Marchionne: Richard Tobin, amministratore delegato di Cnh Industrial, Alfredo Altavilla, chief operating officer della regione Emea, Mike Manley, responsabile del marchio Jeep, o Cledorvino Belini, responsabile della Fiat in Brasile. Altro indizio pericolante, sempre per Torino.
Il futuro incerto della città
La prossima settimana il marchio Fiat scomparirà dalla Palazzina del Lingotto, venendo sostituito dal simbolo di Fca. Sono stati tanti coloro che in questi giorni hanno affermato, più o meno convintamente, che per Torino non cambierà granché, perché fabbriche e uffici resteranno sotto la Mole, ma è lecito muovere qualche dubbio. Ieri ha fatto soprattutto specie non sentire nemmeno una voce levarsi da Palazzo di Città, né quella del sindaco Piero Fassino né di qualche altro esponente della maggioranza, in un momento a suo modo storico per la città, nella fisiologica necessità di comprendere qualcosa in più, non tanto sul destino di un’azienda privata come Fiat ma almeno sulle prospettive di una grande città come Torino.