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giovedì, 24 Ottobre 2024

Chi nasconde il tesoro non è un pirata, è un delinquente

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

di Marco Grimaldi

Stando al rapporto della Commissione Europea, in un anno (nel 2014) Apple, Google, Amazon, Twitter, Facebook e Ebay hanno versato al Fisco italiano soltanto nove milioni di euro, a fronte di un mercato e-commerce, in cui sono egemoni, che vale più di 11 miliardi.

Come è possibile? Guardiamo il caso di Apple: l’azienda paga un centesimo e mezzo di tasse, perché le imposte sul reddito generato dalle vendite italiane (e così succede in tutta Europa) vengono trasferite in Irlanda, o attraverso delle tecniche di “transfer pricing” oppure fatturando “direttamente nel Paese”. Una volta in Irlanda la somma viene abbattuta e poi trasferita a un “head office” senza dipendenti né sede geografica, ossia praticamente senza tasse. L’esito di tutto ciò è che nel 2014 Apple ha realizzato in Italia entrate sopra il miliardo, versando al Fisco 4,2 milioni. E in Irlanda, dove quei profitti sono stati dirottati, ha pagato lo 0,005%.

Nel 2015, solo di pubblicità, Facebook ha incassato nel nostro Paese 350 milioni di euro e, grazie alla legislazione in materia, ha versato all’erario appena lo 0,057 %. Il paradosso è – in altri termini – che un web designer free lance paga in Italia circa il 27% di tasse sul reddito, mentre la famosa società di Mark Zukerberg soltanto lo 0,057%!

In alcuni casi basterebbe tassare i redditi di impresa in Italia, ossia far pagare le tasse dove il reddito viene generato, per recuperare una cifra compresa tra 2 e 3 miliardi, introdurre insomma una “web tax” o “digital tax” come in tanti chiedono da tempo, mentre Renzi e il Mef temporeggiano nell’attesa di un fantomatico intervento coordinato a livello europeo. Inoltre, il Beps, il comitato speciale creato in seno all’Ocse per limitare le pratiche di elusione fiscale delle multinazionali, ha pubblicato le sue proposte lo scorso ottobre. Bisognerebbe adottarle…

Ma le top player di internet non sono le sole a usare certi stratagemmi. Quanto appena descritto non è tanto dissimile dai risultati di un’indagine che abbiamo svolto lo scorso anno sulle aliquote Irap versate dalle grandi aziende piemontesi. Abbiamo scoperto che il gettito complessivo del pagamento dell’IRAP da parte di trenta grandi aziende rappresentava solo il 5% delle entrate complessive. A partire dal 2011, due delle più grandi aziende piemontesi e fra i maggiori contribuenti fino al 2010, hanno versato un’aliquota IRAP equivalente a € 0, dichiarando un valore della produzione negativo; negli ultimi due anni, poi, un’altra grande azienda piemontese ha dichiarato un valore di produzione negativo (versando quindi € 0), anche se nell’ultimo anno il suo fatturato ha continuato a crescere quasi del 30%. In questi giorni l’Assessore Reschigna ci ha dato ragione, sottolineando come il fenomeno dell’evasione dell’Irap in Piemonte sia ancora consistente e suggerendo una misura che premi i Comuni che sostengono la Regione nelle procedure di recupero.

Ma le grandi imprese saranno toccate da queste indagini?  I Comuni e la Regione potranno monitorare la situazione senza un vero aiuto da parte delle autorità competenti in materia di evasione ed elusione?

Non chiediamo di alzare le tasse, ma semplicemente che tutti le paghino in maniera equa, che è anche l’unico modo di abbassare la pressione fiscale.

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