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martedì, 22 Ottobre 2024

Caso Orlandi. Le ossa "breaking news" e le verità di Marco Fassoni Accetti

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Moreno D'Angelo
Moreno D'Angelo
Laurea in Economia Internazionale e lunga esperienza avviata nel giornalismo economico. Giornalista dal 1991. Ha collaborato con L’Unità, Mondo Economico, Il Biellese, La Nuova Metropoli, La Nuova di Settimo e diversi periodici. Nel 2014 ha diretto La Nuova Notizia di Chivasso. Dal 2007 nella redazione di Nuova Società e dal 2017 collaboratore del mensile Start Hub Torino.

È incredibile come ogni notizia legata alle ossa ritrovate nel corso dei lavori presso la Nunziatura vaticana (analisi, ipotesi e tante troppe indiscrezioni) abbia risvolti mediatici da breaking news.
Tg, giornali radio e prime pagine, come si diceva un tempo, aprono con “le ossa potrebbero appartenere a due persone di questo o quel periodo di questo o quel sesso”, “scoperte nuove ossa”.
Certo il ritrovamento di resti umani in scantinati seminterrati e cunicoli romani non è sicuramente una novità. Il fatto è che l’ennesima nebulosa informativa legata a questi ritrovamenti rientri pienamente in quella filosofia che ha fatto sì che, a 35 anni dal rapimento di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori, il quadro di uno dei casi più importanti e controversi, in uno dei periodi più turbolenti, a cavallo tra gli anni 70 e 80 (attentato a Papa Wojtyla, P2, Ali Agca, Ior di Marcinkus, caso Calvi-Banco Ambrosiano, fondi neri a Solidarnosc)  resti ancora volutamente avvolto nelle nebbie. Ma è proprio così?
Intanto anche i dati sulle ossa hanno aperto una ridda di ipotesi: ebrei della seconda guerra mondiale, parenti dei custodi della casa, ossa di cento anni fa, due corpi di periodi diversi, sulle quali si cerca ancora di fare chiarezza.
E sono immediatamente emersi forte dubbi sul fatto che quelle ossa trovate nella Nunziatura potessero essere quelle delle povere Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. Le due quindicenni scomparse nel 1983. E pare quanto mai improbabile che il Vaticano abbia improvvisamente  riscoperto uno spirito di collaborazione e trasparenza tanto da far emergere le ossa della Orlandi in “una casa di sua proprietà”. Questo dopo anni di silenzi e mancanza di collaborazione nella ricerca della verità. Come più volte denunciato da Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, e da alcuni cronisti che seguono da anni il caso in modo serio e approfondito come l ‘autore del libro “Il Ganglio”, il giornalista investigativo Fabrizio Peronaci. 
A tal proposito sono eloquenti il diniego della Santa Sede sulle rogatorie e sulla possibilità di controllare le telefonate di quel numero riservato appositamente alle comunicazioni tra Vaticano e rapitori. Quel numero 158 che si vorrebbe collegato alla data attentato al Papa mentre altri codici utilizzati rapitori sarebbero legati al Segreto di Fatima.
Una serie di ipotesi, congetture, misteriosi dossier sui tavoli nelle stanze d’ Oltretevere, con tanto di presunte spese mediche sostenute per curare Emanuela anche oltre venti anni dopo la sua sparizione. Un quadro alimentato da pressioni per il silenzio assoluto sulla vicenda, come ricordato da Pietro Orlandi fratello della ragazza figlia di un messo pontificio.
Ma imporre il silenzio non è stato possibile grazie alla mobilitazione dei Comitati di solidarietà, che hanno affiancato la ferrea volontà dei familiari di Emanuela di andare avanti, e di alcuni giornalisti che non si sono piegati ad un approccio meramente scandalistico che non informa e che alimenta solo confusione per non parlare di reali depistaggi. Infatti la ridda di ipotesi alla base della sparizione hanno svariato sui campi più disparati.
In questa intricatissima vicenda ogni risposta, ogni ipotesi, ogni versione apre ovviamente a ulteriori interrogativi.
Tuttavia la vicenda non è un affascinante cold case stile Marylin Monroe in cui la ricerca della verità è sommersa dal fascino di tante ipotesi misteriose valide solo per fare ascolti in speciali tv di seconda serata.
Qui vi sono testimoni, indagati, documenti e evidenti responsabili coinvolti a vario titolo nel caso oggetto di una lunga indagine portata avanti dal magistrato procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo. Un caso che è stato  sorprendentemente archiviato nel 2015 dal procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone (archiviazione confermata in Cassazione nel maggio 2016).
Depistaggi e confusione hanno fatto sì che nel marasma di ipotesi, illazioni, voci si perdesse il filo di una trama e delle relative motivazioni che, oltre agli indubbi ruoli operativi della Banda della Magliana, potrebbe veder coinvolti il Vaticano e alcuni suoi ordini religiosi.
Ora l’ultima novità viene tirata in ballo da uno dei supertestimoni del caso autoaccusatosi del rapimento, con un ruolo anche di telefonista, detto l’amerikano. Si tratta dell’enigmatico e funambolico artista fotografo Marco Fassoni Accetti che sulla vicenda Orlandi ha prodotto un ampio memoriale e che ha fatto ritrovare quello che parrebbe essere a pieno titolo il flauto della ragazza avvolto in un giornale dell’epoca. Il flauto dell’ultima lezione presso l’istituto della basilica di Sant’Apollinaire da dove si sono poi perse le sue tracce.
Per Accetti le ossa delle due ragazze si troverebbero all’estero, il che potrebbe lasciare intendere anche in territorio Vaticano.È quanto da lui dichiarato due giorni fa interpellato per il suo gruppo investigativo dal giornalista Fabrizio Peronaci. Una risposta che apre un vortice di nuove domande. In che nazione si trovano i corpi? Chi li ha portati? Su che basi e quali riscontri si sono fatte queste affermazioni?
Ma, come spesso accade, le domande si sono bloccate di fronte ad un interlocutorio «oltre per ora non si va» espresso dall’Accetti.
Un quadro che comunque resta aperto da decenni, oltre che per la tenacia di Pietro Orlandi, per il sostegno di tante persone e anche di alcuni giornalisti che non si sono piegati ad un approccio scandalistico di basso profilo che alimenta solo la confusione.
Le motivazioni per quanto complesse ci sono e rientrerebbero in quel clima di guerra fredda di quegli anni che avrebbe coinvolto anche figure come Sandro Pertini e quel Papa Wojtyla alla base dello sconvolgimento del blocco sovietico.
Sono passati 35 anni è vero, ma è evidente che, alla luce delle indagini e della mole di riscontri, e di quello che potrebbe emergere dalle testimonianze di alcuni canuti porporati molto informati se non testimoni che avrebbero cominciato a parlare, sia forte la richiesta di una riapertura del caso.
Certo oggi viviamo in un mondo meno propenso alla complessità, ma sono molti e evidenti gli elementi che inducono ad andare avanti per una verità che va ben oltre il mistero delle ossa.
In conclusione si nutrono dubbi sull’approfondimento da poco annunciato da fonte vaticana in relazione a una iniziativa legale che dovrebbe valutare responsabilità in merito al coinvolgimento mediatico del Vaticano per quanto concerne l’abbinamento al caso Orlandi.
Insomma siamo al paradosso. sempre che non si voglia incriminare tutta la stampa che, a vario titolo, ha sempre in questi decenni collegato il Vaticano alla sparizione della sua giovane e sfortunata sua cittadina. Non a caso l’immagine della ragazza con la fascetta è quasi sempre abbinata a quella del Cupolone negli articoli e nei libri che trattano questo argomento che resta fonte di sofferenza per i familiari di queste ragazze sparite apparentemente senza un motivo.

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