La morte, almeno quella, non dovrebbe rappresentare un “caso” da copertina. Negli Stati Uniti, invece, e più precisamente in Oregon il tema del giorno riguarda Brittany una giovane di ventinove anni la quale ha annunciato che sabato (il giorno dopo Hallowen) si suiciderà. La donna, da un anno, soffre per una terribile e irreversibile malattia: un tumore al cervello senza possibilità di risoluzione che, secondo tutti i medici che l’hanno in cura, le lascerebbe solamente sei mesi di vita. Già, ma quale vita? Si è chiesta Brittany.
Centottanta giorni di discesa all’inferno tra dolori atroci e consapevolezza che sta finendo. No, grazie. Ha detto la giovane donna e, da San Francisco dove viveva, si è trasferita nello Stato dell’Oregon dove è permessa l’eutanasia. Fino a questo punto non ci resta che essere solidali con la ragazza americana perché se è vero che deve esistere il diritto alla vita dignitosa è altrettanto vero che deve esistere il diritto ad una morte altrettanto dignitosa. Il caso Englaro, del resto, non smetterà mai di far sentire in tutti noi la necessità di fornire ufficialmente a chi non ce la fa più gli strumenti per procurarsi una dolce partenza.
Detto ciò, rispetto allo specifico caso di Brittany lascia perplessi, il “rumors” da copertina e da apertura di telegiornali che la stessa “moritura” ha voluto mettere in piedi alla vigilia della sua consapevole e legittima auto-esecuzione. Un atteggiamento molto da “american beauty” che stride enormemente con l’alta e persino sacra moralità di un gesto che, invece, andrebbe difeso e preservato con grande cura perché, soprattutto nella morte, la spettacolarizzazione non dovrebbe essere prevista. Come ha fatto l’amico Lucio Magri, a suo tempo, il quale incaricò gli amici intimi di dare l’annuncio del suo passo d’addio a cose avvenute, in Svizzera nella clinica del dolce sonno. Come scrisse Cesare Pavese, prima di spararsi in testa in una camera dell’Hotel Roma a Torino: «Per favore, se potete, fate pochi pettegolezzi».