Viste le ultime vicende l’Oscar della trasparenza non appartiene alle amministrazioni comunali grilline.
Dopo che “il Sole 24 ore “ pochi giorni fa rese pubblica la notizia che la Città di Roma aveva ritirato il rating, preferendo non fornire informazioni sul proprio bilancio agli analisti internazionali, anche a Torino sta accedendo la medesima cosa. Ripercorriamo i fatti più o meno recenti.
A settembre del 2016, appena insediata la giunta Appendino, le due società di rating, che da ormai tempo immemore curavano il monitoraggio dei conti della città, confermano il parere precedente.
BBB- , con oulok stabile. Leggendo le analisi si può facilmente apprendere che il rating deriva dall’analisi della situazione in un dato momento, mentre l’outlook guarda l’evoluzione della situazione.
A marzo 2017 la principale delle due agenzie , Standard and poor’s, (l’altra è Fitch) declassa il Comune di Torino assegnando un outlook negativo (LEGGI ARTICOLO). Il segnale è chiaro. Le politiche della Appendino in tema di bilancio sono pressoché inesistenti. Il futuro è incerto. Il solito ritornello “abbiamo trovato una situazione complessa” rischia solo d’incantare per un po’ l’elettorato più sprovveduto, ma non dei professionisti del settore. Immediatamente, come di prammatica, parte la campagna di denigrazione delle società di rating da parte dei Cinque Stelle. È la cosa più semplice da fare per cercare veloci e popolari giustificazioni. Ma la contestuale apertura di inchieste giudiziarie sui conti della Appendino, con il ruolo decisivo del suo capo di gabinetto Paolo Giordana, svela come stiano veramente le cose e gli occhi dei torinesi incominciano ad aprirsi.
Eppure, pochi mesi fa era proprio la giunta Appendino a volersi affidare ad una società di consulenza esterna per redigere un Audit sul bilancio della città. È bene ricordare come andò a finire: la Corte dei Conti bocciò la decisione della sindaca che con l’imposizione della corte ripiegò su un audit interno (che non ha rilevato nulla di anomalo). Chi segue la vicenda dalle origini si domanda: «Ma come? Quando l’audit o il rating serve alla propaganda grillina, allora è ok, mentre quando ti declassa, è brutto e cattivo?» (LEGGI ARTICOLO)
Tornando al rating, a Roma è andata a finire che l’assessore Mazzilli (che nel frattempo è già stato silurato, il terzo in un anno) abbia ritrattato, annunciando che senza rating le gestione del servizio di tesoreria potrebbe avere dei problemi (la tesoreria è, in effetti, denaro prestato dal tesoriere che vuole avere un monitoraggio costante delle agenzie di rating).
A Torino, invece, la Appendino va dritta per la sua strada: nella variazione di bilancio di giugno ha eliminato i fondi per il costo del monitoraggio del rating, circa 90.000 euro su 120.000, e non ha rinnovato i contratti con standard & poor’s che l’ha degradata ad outlook negativo. Sembra, invece, che nonostante la rottura del contratto anche con Fitch, quest’ultima agenzia continuerebbe a effettuare un rating “light” e “ghost”, non pubblico. Insomma, il Comune sarebbe un po’ più benevolo verso l’agenzia che lo ha trattato meglio? Così sembrerebbe. Ma soprattutto non ci sarà più nessun rating pubblico e diffuso. Dalla testa di Palazzo civico traspare una visione piuttosto cinica e ingannevole: gli analisti servono solo se devono giudicare le amministrazioni passate; per quella in carica basta la propaganda.
Le ultime parole le spendiamo per ricordare ai lettori che il rarting dei soggetti pubblici, nulla ha a che fare col mercato tuot-cour o con Wall Street. Tutte le medie e grandi città europee di sono dotate di un rating per trasparenza.
Esiste un’altra logica dietro il rating dei Comuni, che ha a che fare con la prassi, con la trasparenza e l’accountability degne di una grande capitale europea (Parigi, Berlino e Madrid ce l’hanno). Una città senza rating di fatto si nasconde.
La stampa specializzata ha un’opinione molto netta: chi decida di fare a meno del rating pubblico compie un atto che risponde a una logica finanziaria di corto raggio, anche in assenza di ricorso al debito. Il rating valuta la capacità e la volontà dei debitori (anche pubblici) di rimborsare puntualmente e integralmente i creditori. E di questo giudizio, la giunta Appendino come quella della Raggi non ne vogliono sapere. Torino, che utilizza con la Appendino l’anticipazione di tesoreria come non mai (e come anche la Raggi a Roma), senza rating commette un pericoloso azzardo.
E pensare che una volta qualcuno che siede al palazzo civico faceva della trasparenza una bandiera. Oggi la parola d’ordine sembra essere diventata un’altra: depistaggio.