Riceviamo e pubblichiamo:
“Torino, donna muore dopo l’aborto con la pillola”, La Stampa, 11 aprile 2014
“Aborto, muore in ospedale dopo aver usato la RU486”, Repubblica, 11 aprile 2014
“Morta dopo l’aborto farmacologico anche il ministero apre un’inchiesta”, La Stampa, 12 aprile 2014
Torino, una donna di 36 anni muore in ospedale dopo aver effettuato un’interruzione di gravidanza. I quotidiani hanno le idee chiare. C’è aria di scoop, inizia la giostra.
Eh già, perché non solo è morta di aborto (dato ancora da verificare, dal momento non ci sono gli esiti dell’autopsia), ma di aborto farmacologico e si tratterebbe del primo caso in Italia, uno dei pochi nel mondo.
Non importa che quella donna si chiami Anna (il grande pubblico conoscerà il suo nome appena qualche ora dopo il decesso) e nemmeno importa davvero chi sia stata e se avrebbe voluto diventare la prima pagina di un quotidiano. Quel che conta è che fa notizia: la sua morte spalanca le porte alla mai sopita polemica sull’interruzione di gravidanza col metodo farmacologico, da pochi anni entrata anche in Italia nei protocolli ufficiali per l’IVG. E, per gli antiabortisti, rappresenta una ghiotta occasione per tentare il colpo e sferrare nuovi attacchi alla legge 194, che dal 1978 consente alle donne di scegliere se portare avanti o meno una gravidanza.
Oggi leggiamo sui giornali articoli che raccontano, saccheggiando i commenti degli amici su facebook e i ricordi delle persone che hanno avuto la fortuna di incrociare la propria strada con la sua, chi sarebbe stata Anna.
Anna E’ una nostra sorella, di più: Anna siamo tutte noi.
Donne che ogni giorno si reinventano per non arrendersi alla precarietà che il sistema economico e politico ci impone, donne che studiano nella speranza di aprirsi nuove strade per un futuro meno disarmante, donne che lavorano per conquistare o mantenere la propria indipendenza economica, per dare gambe ai propri sogni. Donne che si autoorganizzano e promuovono nuove forme di solidarietà e socialità per non cedere a chi ci vorrebbe arrese a un sistema dove chi non compra non vale. Donne che occupano case, perché senza un tetto non ci vogliono stare, donne che scendono in piazza per rivendicare nel quotidiano diritti che non possono diventare optional: reddito, dignità, istruzione, salute. Per tutte e per tutti, non importa il colore della pelle o un documento di identità. Donne che non hanno paura di scendere in piazza per dire no ai veleni della TAV, donne che coltivano la terra orgogliose dei propri frutti.
Donne che sono mamme per scelta, non per dovere. Donne che non sono mamme, perché non esserlo non significa essere meno donne. Donne che amano uomini e donne che amano donne. Donne che non ci stanno a interpretare ruoli precostituiti, che non accettano definizioni imposte da altri.
Siamo donne che credono fermamente nell’autodeterminazione delle nostre scelte, del nostro agire e dei nostri corpi, contro ogni forma di violenza e di manipolazione delle nostre identità. Che agiscono quotidianamente in nome di ciò, assumendocene il rischio, imparando a stare nella contraddizione, mai nel compromesso. Siamo donne che rivendicano, che pretendono il diritto ad una sessualità libera, consapevole, sicura.
Siamo donne che hanno lottato, ed Anna era con noi, affinchè anche in Italia ci fosse la possibilità di scegliere l’Ivg farmacologica, in un contesto in cui decidere sul proprio corpo è sempre più difficile e la nostra libertà è limitata dall’obiettore di turno. Siamo donne consapevoli che ancora molto ci sarà da lottare: a partire dalla pretesa di capire perchè una di noi è morta mentre faceva quello che dovrebbe essere un intervento di routine; e a partire dal difendere fino in fondo il suo e il nostro diritto, la sua e la nostra libertà di scelta. E questo con la consapevolezza che solo se sapremo tenere alta la nostra capacità d’inchiesta e di ricerca, solo se sfuggiremo agli slogan “ru486 si-ru486 no”, ai giochetti di potere sui nostri corpi, alla medicina maschile che dedica al corpo delle donne poca attenzione e poca ricerca, agli interessi delle industrie farmaceutiche, solo allora avrà un senso lo slogan che tanto amiamo: SUL MIO CORPO DECIDO IO!.
Anna siamo noi e, per questo, morendo con lei, gridiamo la nostra rabbia: non cercate di usarci per i vostri sudici scopi. Non saremo vostre complici: di aborto non si deve morire. Né in una sala operatoria, né con una pastiglia. Vogliamo rispetto per il nostro dolore, verità per Anna.
Le compagne e i compagni del C.S.O.A. Gabrio