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mercoledì, 23 Ottobre 2024

Torino, “vite” di città

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

“Come fiori tra l’asfalto”, così canta Elisa in una sua canzone evocando l’immagine della forza e della delicatezza dei fiori di città. Città sempre più metropolitane, cosmopolite ma anche sempre più grigie. Fortunatamente però, non solo fiori e fili d’erba si affacciano coraggiosi tra le strade e i palazzi torinesi.
Alzando gli occhi al cielo non è difficile notare terrazzi fioriti e piante rampicanti che di anno in anno combattono il freddo dell’inverno del nord e il caldo afoso delle estati di città, ma le sorprese dei condomini non finiscono qui.
Sbirciando tra terrazzi e garage interni spuntano infatti piccoli orticelli urbani, forse di anziani torinesi che per occupare le loro giornate si divertono a curare minuziosamente, con la poesia di un tempo. Ma con sorpresa, tra i giardini verticali che tanto vanno di moda negli ultimi tempi ecco che tra i palazzi del quartiere San Paolo, all’ombra del palazzo Lancia e degli scheletri delle fabbriche dismesse, compare addirittura un vitigno, piccolo ma rigoglioso.
Inizialmente sembra quasi stonare quel verde intenso tra i panni stesi dei balconi circostanti e il profumo di bucato fresco che va a mescolarsi con quello della terra, punge nel naso di chi lo respira.
Viene naturale immaginare la storia di quelle viti, come siano nate sul quel terrazzo, circondate dal cemento e dall’aria in certi giorni irrespirabile, mista a smog e amianto. Forse chi se ne prende cura è un anziano, un pensionato, forse un ex dipendente Fiat che chissà, dopo anni di estenuante e monotono lavoro in fabbrica è riuscito a tornare a quella che era la sua vera passione, il suo primo amore.
Perché Torino è anche questo, unione più che contrapposizione tra nord e sud. Città operaia fatta in gran parte da contadini immigrati trasformati per necessità in operai che non possono e non vogliono dimenticare da dove sono partiti e che adesso, al tramonto di una vita di sacrifici non resta che sperare in un’ottima annata.

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