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martedì, 3 Dicembre 2024

“Steve Jobs” secondo Danny Boyle e Michael Fassbender

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di Andrea Zummo

15 anni o quasi nella vita di Steve Jobs (1955-2011), l’uomo citato insieme a Bill Gates, come padre dell’imprenditoria informatica del secondo Novecento. La storia raccontata nel biopic di Danny Boyle (ex cattivo ragazzo di “Trainspotting”, consacrato con l’Oscar di “The millionaire”), abbraccia il lasso di tempo che va dalla presentazione del primo Macintosh, nel 1984, al lancio del primo IMac, nel 1988. Una vita raccontata da dietro le quinte, subito prima di tre delle sue celeberrime presentazione dei nuovi modelli: eventi di folla, curati nei minimi dettagli con precisione maniacale e perfezionismo ossessivo. Al centro di tutto lui, Steve Jobs (M. Fassbender), attorniato da collaboratori e dalla sua onnipresente assistente Joanna (K. Winslet). Ne esce il ritratto di un uomo dalle intuizioni grafiche e di design geniali, capace di cogliere la previsione del futuro relativamente ai prodotti dell’informatica (la citazione iniziale del video di Arthur C. Clarke è fortemente evocativa), ma anche dall’orribile piano privato e degli affetti: quasi misantropo, vessatore, arrogante, incapace di fare autocritica e restio a chiedere scusa. Ne fanno le spese le persone intorno a lui, in primis la figli Lisa.

I tre blocchi temporali del film (1984, 1988 e 1988) sono scanditi dagli incontri che Jobs fa, immediatamente prima delle presentazioni dei nuovi prodotti commerciali, con alcuni suoi ex colleghi e collaboratori (John Sculley, Steve Wozniak), sua figlia e la sua ex compagna, oltre che da ricordi e flashback che ricostruiscono gli eventi di collegamento.

Con una sceneggiatura parlatissima (plot del premio Oscar, per “The social network” Aaron Sorkin), fatta di dialoghi serratissimi e affidata a un cast notevole, è il trionfo dell’interpretazione di Fassbender, che dà al suo personaggio la giusta dose di ambiguità, tra fascino del genio e indole crudele. Con lui da citare anche la segreteria tenace di Kate Winslet e l’ex ad Apple di Jeff Daniels. Regia funzionale alla storia, che bracca i personaggi con abilità, musiche ben dosate.

Resta il dubbio, a prescindere dalle capacità straordinarie di Jobs, che Wozniak, suo collaboratore dei primi anni della gioventù, esprime verso la fine della storia: “Si può essere geniali e corretti”. La domanda è legittima, oltre all’affermazione. Jobs, che si autodefinisce colui che “suona l’orchestra”, forse non era interessato a porsi il dilemma. Discutibile quanto si vuole, per la sua indole, le sue scelte o la sua vita, resta uno dei protagonisti indiscussi, nel campo delle conquiste informatiche, come il film di Boyle, senza farne un santino, racconta.

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