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mercoledì, 23 Ottobre 2024

Obiezione di coscienza e coscienziosità

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Giulia Zanotti
Giulia Zanotti
Giornalista dal 2012, muove i suoi primi passi nel mondo dell'informazione all'interno della redazione di Nuova Società. Laureata in Culture Moderne Comparate, con una tesi sul New Journalism americano. Direttore responsabile di Nuova Società dal 2020.

di Vittorino Merinas

Ci fu un tempo in cui dire “obiettore di coscienza” connotava dignità e coraggio. Dignità perché suggeriva una persona consapevole di valori morali irrinunciabili e coraggio perché costava tribunale e carcere. Così fu per Pietro Pinna che nell’immediato dopoguerra, in una realtà  ancora piagata dalle ferite e dalla rovine di quei terribili anni, per primo rifiutò il servizio di leva. Basta con le armi! Fu giudicato e condannato al carcere come renitente. Grazie a lui ad a coloro che pagando di persona lo seguirono, l’obiezione al servizio militare fu riconosciuta.

Oggi questa possibilità è estesa anche ad altre contingenze sociali. Nel caso dell’aborto, al diritto conseguito dalle donne è correlato il diritto all’obiezione di coscienza da parte degli operatori sanitari di competenza. Diritti inoppugnabili dimostratisi, però, contrastanti nella loro applicazione. L’inatteso moltiplicarsi degli obiettori nei pubblici ospedali, infatti, ha messo all’angolo l’esercizio del diritto delle donne, tanto da spingere ultimamente la Regione Lazio a bandire un concorso per due posti di ginecologia all’ospedale romano San Camillo da affidare a medici non obiettori, insufficienti a soddisfare le richieste di interventi abortivi. Insufficienza man mano aumentata, al punto che oggi gli obiettori a livello nazionale sono assai più numerosi dei ginecologi assenzienti.

L’iniziativa della Regione Lazio ha suscitato nel mondo cattolico il solito vespaio, quasi che l’impegno a rendere funzionali e funzionanti le strutture ospedaliere fosse il prodromo dell’abrogazione del diritto all’obbiezione di coscienza. Congettura perfino ridicola come sarebbe l’equivalente pensiero di abolire il diritto delle donne, magari tentando di renderlo nominale grazie all’esorbitante numero di obiettori. La chiesa rimanga pure ostile all’aborto: nessuno glielo impedisce, ma si rassegni al fatto che, in uno Stato democratico e laico come sembra ancora l’Italia, esso sia praticabile, rispettando la già angosciosa situazione di chi deve affrontarlo.

Tutti questi discorsi sulla “obiezione di coscienza”, espressione della più generale “libertà di coscienza”, presupporrebbero che “coscienza” ci sia come seria ed impegnativa regolatrice d’ogni azione. Un’ovvietà non così certa e che ancor più vacilla stando al numero degli obiettori nel settore ginecologico ospedaliero. Tutti genuini credenti o convinti antiabortisti? Considerando gli aborti clandestini, diminuiti ma non cancellati, il dubbio ancora si rafforza. Tutti opera delle mammane o dei ginecologi non obiettori già operanti entro le mura ospedaliere?

L’obiezione al servizio militare, ormai accantonata per l’abolizione dell’obbligo di leva, potrebbe suggerire un espediente per scovare il personale sanitario obiettante non per coscienza, ma per convenienza. In quella l’accoglimento della renitenza alle stellette era compensato da  un servizio sociale obbligatorio altrettanto impegnativo e di più lunga durata. L’obiettore non se ne stava con le mani in saccoccia ad irridere chi in caserma imparava ad obbedire e si preparava a combattere. L’obiezione medica, invece, non ha contropartita. C’è fiducia cieca nella coscienziosità di chi la oppone. Lui può tener le mani in saccoccia. Coscienziosità che, oltre tutto, dovrebbe essere previa non postuma, non scegliendo una specializzazione medica al cui pieno esercizio la coscienza si opporrà. Il diritto all’aborto nelle strutture ospedaliere pubbliche non è di ieri!

Una contropartita sfuggita al legislatore, magari su spinta d’un’istituzione che, sconfitta nella lotta all’aborto, vorrebbe almeno limitarne i danni?  Un’istituzione che per quasi due secoli si era opposta al riconoscimento della libertà di coscienza che il pensiero laico stava faticosamente elaborando e proponendo. Nel 1832 Gregorio XVI scriveva: “Dall’indifferentismo sorge quell’assurda ed erronea sentenza o meglio delirio che asserisce e rivendica a chiunque la libertà di coscienza”. Nel 1955 Pio XII ancora insegnava che, quando lo Stato agisce osservando tutti i principi che rendono moralmente ineccepibile le sue decisioni, “un cittadino cattolico non può appellarsi alla propria coscienza per rifiutare di prestare i propri servizi”. Nello stesso anno don Mazzolari, rischiando, affermava che “cristianamente e logicamente la guerra non si regge” e pubblicava il suo Non uccidere e don Milani, non molto dopo, dichiarerà che l’obbedienza non è  più una virtù e l’obiezione al servizio militare un diritto. Il 20 giugno Francesco andrà ad onorare le loro tombe! Prima di loro aveva già pagato caro chi propugnava la centralità della coscienza, ancor oggi contrastata, nonostante il concilio Vaticano II, da esponenti di spicco del cattolicesimo.

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