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lunedì, 16 Settembre 2024

Nigeria, lo scandalo delle tangenti travolge l'Eni

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Il nuovo amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, si trova al centro di un’inchiesta giudiziaria tra Milano e Londra. L’ipotesi è quella di corruzione internazionale e riguarda l’acquisizione di una concessione petrolifera nigeriana per la quale Eni avrebbe pagato una mega tangente in relazione alla quale la Corte di Londra ha già operato un sequestro preventivo pari a 190 milioni di dollari. Con Descalzi, una delle prime nomine pubbliche dell’era Renzi, risultano indagati anche l’ex ad Eni Paolo Scaroni, il nuovo capo della Divisone Esplorazioni Roberto Casula, e il noto faccendiere Luigi Bisignani già coinvolto nelle inchieste Why Not del pm Luigi De Magistris e nell’inchiesta sulla P4 dei Pm Curcio e Woodcock.
Subisce dunque una brusca accelerazione l’indagine milanese sulla società del cane a sei zampe, che fino a questo momento aveva ritenuto di poter gestire in modo indolore l’avviso di garanzia fatto recapitare al gruppo dai pm De Pasquale e Spadaro nel luglio scorso. Fondamentale per questa svolta improvvisa, il sequestro di due depositi aglo-vizzeri rispettivamente di 110 e 80 milioni di dollari all’intermediario nigeriano Emeka Obi: somma pari a un quinto del prezzo di 1 miliardo e 90 milioni di dollari che l’Eni pagò nel 2011 per l’acquisizione della concessione petrolifera Opl-245 della società Malabu.
La ricostruzione dei fatti. L’inchiesta della procura di Milano mette radici quattro anni fa, quando nel 2010 i pm napoletani Curcio e Woodcock, che all’epoca erano impegnati nelle indagini della galassia Bisignani, vengono a conoscenza del coinvolgimento del faccendiere in una presunta trattativa con il governo della Nigeria. Da alcune intercettazioni si ricava infatti che all’epoca il ministro nigeriano Etete aveva mobilitato un suo contatto italiano, Di Capua, perché piazzasse la concessione petrolifera della società Malabu. Di qui il coinvolgimento di Bisignani, che si sarebbe messo subito in contatto con Paolo Scaroni, allora ad di Eni, che a sua volta lo avrebbe introdotto a Claudio Descalzi, allora a capo della divisione Oil. La trattativa però andò in fumo. A novembre dello stesso anno la trattativa riprende in modo apparentemente diretto dato che Eni si mette in contatto con il governo nigeriano che si offre poi di girare i soldi alla società Malabu. Nell’aprile 2011, dunque, Eni acquista la concessione petrolifera pagandola, come detto in precedenza, 1 miliardo e 90 milioni di dollari. Nel 2013, però il mediatore nigeriano Obi, che si era messo in contatto con Di Capua nel primo tempo, quello della trattativa indiretta, intenta una causa civile a Londra contro l’ormai ex ministro Etete accusandolo di non aver versato a lui e Di Capua il compenso pattuito per il loro lavoro di intermediazione. Londra da ragione a Obi e costringe il governo nigeriano a versargli 110 milioni, mentre i restanti 80 sarebbero il compenso per Di Capua. Di qui la richiesta di sequestro dei due depositi anglo-svizzeri presentata a Londra dalla procura di Milano.
E mentre Londra ha convocato per lunedì prossimo un’udienza a cui potrà intervenire chiunque creda di aver diritti da accampare sui 190 milioni sequestrati, i pm milanesi sembrano essere impegnati a dimostrare che di fatto la cifra pagata al governo nigeriano per l’acquisizione della concessione petrolifera sia in effetti una super mazzetta i cui destinatari finali risultano ancora ignoti. Attendendo ulteriori sviluppi, Eni conferma tramite comunicato stampa l’indagine in corso sul suo Amministratore delegato e sul Direttore operazioni e tecnologie, assicurando allo stesso tempo «massima collaborazione alla magistratura», salvo trincerarsi poi nel silenzio.

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