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Nessuno può essere condannato per sempre

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

di Vittorino Merinas

Questa convinzione che Francesco esprime nella Amoris laetitia e che già ha sapore di novità, è ciò che lo stimola ad affrontare il rigorismo normativo che domina la prassi ecclesiastica. Pur soddisfatto, così ha detto, degli esiti della biennale riflessione da lui promossa sulla famiglia, non è apparso rassegnato a firmare un documento di chiusura che soffocasse ogni speranza di cambiamento su temi ormai in conflitto con l’elementare buon senso. Una consultazione a livello mondiale e due Sinodi palesemente indetti per cercarne qualche soluzione, non potevano concludersi con un nulla di fatto. Un tormento ben percepibile in Francesco ad un’attenta lettura dell’Esortazione Amoris Laetitia. Almeno far balenare la possibilità di uscire dal nero tunnel d’una assolutezza dottrinale che trasforma Dio da Padre in Giustiziere impietoso.
Certo Francesco non rifiuta le norme. L’ha detto spesso e lo ripete più volte nell’Esortazione per cancellare nei suoi avversari domestici ogni dubbio sulla sua fedeltà all’insegnamento tradizionale. Non le ritiene, però, un “monolite” inattaccabile sotto il quale la vita debba soccombere e tenta di affrontarlo per andar oltre le conclusioni sinodali che, pur armeggiandogli attorno, non l’hanno neppur scalfito. Nell’Esortazione balza chiaro come egli non si rassegni al totale insuccesso. e faccia uso di tutta la sua sagacia per farvi almeno una breccia, utilizzando tutte le sottigliezze della casistica morale che la chiesa stessa gli mette a disposizione per raggiungere il suo scopo.
L’attacco parte da lontano. Al paragrafo 3° Francesco scrive:”Non tutte le discussioni dottrinali, morali, pastorali devono essere risolte con interventi del magistero”. Sembrerebbe una banalità, ma potrebbe essere l’embrione d’una chiesa diversa. Il magistero è sempre stato inteso come la parola di Roma.  Se, però, come voleva il Concilio, la chiesa ripristinasse l’antica collegialità, ciò varrebbe anche per la responsabilità dottrinale. I vescovi ne diventerebbero diretti responsabili per quanto riguarda la realtà sorico-sociale in cui si trovano ad operare, rapportando ad essa le norme generali per poter accompagnare pastoralmente il loro gregge anche nella singolarità d’ogni suo membro: della sua situazione e della maturità della sua fede. Tutto senza la perenne imbeccata di Roma.
Al paragrafo 298 un’altra dichiarazione conferma ed applica la precedente. Non si deve “aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi. E’ possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale… poiché ‘il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi’ o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere gli stessi”. A persone diverse responsabilità morali diverse La norma rimane, ma la sua astrattezza va calata nel vissuto individuale attraverso il dialogo tra la persona ed il pastore. Ciò vale anche per i divorziati risposati. Ogni caso va valutato in sé e ne potrebbe conseguire la libertà di accostarsi all’eucarestia. Scrive, infatti, Francesco in una nota: anche per quanto “riguarda la disciplina sacramentale… il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave”. L’uovo di Colombo in nota a pie’ di pagina e solo applicando la teologia  morale tradizionale!
Eppure, per timore dei rigoristi, Francesco si era appellato alla Familiaris Consortio di Wojtyla, indubbio garante della tradizione, facendo sua “la legge della gradualità” ivi espressa, secondo la quale l’uomo “essere storico… compie il bene morale secondo tappe di crescita… Il cammino graduale [però] non può identificarsi con la ‘gradualità della legge’, [ma significa] conoscere sempre meglio i valori che la legge divina custodisce e promuove. [La legge non è] un puro ideale da raggiungere in futuro, ma un comando di Cristo…”. Francesco ha assunto questo concetto di “gradualità”, ma capovolgendolo in favore d’una gradualità del progresso verso la legge: non dalla legge verso una sua migliore comprensione, ma dalle situazioni oggettive e soggettive della persona verso una progressiva comprensione e pratica della legge. Dal vissuto d’ognuno alla norma che è in uno faro e porto, non un assoluto senza tempo né luogo.
Il capitolo 8° della Amoris Laetitia chiarisce, teologicamente seppur faticosamente, il problema dei divorziati risposati. Nella realtà dipenderà molto dai vescovi e preti delle comunità ecclesiali, se saranno pastori o legulei nel percorso di discernimento. Il “monolite”, però, non è stato neppure leggermente graffiato. Quanti Sinodi ci vorranno ancora? (Laetitia, 2, continua)

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