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lunedì, 16 Settembre 2024

EB, la “sindrome dei bambini farfalla”

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Il primo Marzo a Milano si è svolta la “Marcia dei malati rari”, in occasione del 7° anniversario del “Rare Disease Day”, giornata mondiale delle malattie rare che ricorre il 28 Febbraio. L’epidermolisi bollosa, EB, o sindrome dei bambini farfalla, che deve tale denominazione all’estrema fragilità della pelle, simile in ciò alle ali di una farfalla, è una di queste. Si tratta di una patologia genetica suddivisa in tre tipi: simplex, giunzionale, distrofica, comprendenti varie sottotipologie che rendono difficile la ricerca di soluzioni e l’applicazione terapeutica dei progressi ottenuti in campo sperimentale.
La malattia si manifesta in forma dominante quando uno dei genitori è malato, o recessiva, cioè trasmessa da entrambi i genitori portatori sani; e varia molto a seconda del gene che subisce la mutazione. Alla nascita, in caso di parto naturale, il neonato presenta grosse bolle ed estese lacerazioni, anche delle mucose interne, che guariscono solo dopo mesi di ricovero e quotidiane medicazioni. La nutrizione del piccolo paziente prevede l’uso di speciali biberon con soluzioni non dense, e particolari accorgimenti nella manipolazione del suo corpo. La persona malata sarà, nel corso della vita, costretta a medicazioni e frequenti cure di antibiotici per contrastare l’insorgenza di infezioni.
Nelle forme gravi sono necessari interventi ricostruttivi delle mani (le dita tendono ad “incollarsi” tra loro), e di dilatazione dell’esofago. E’ considerevole il rischio di tumori della pelle e complicanze renali. L’EB colpisce entrambi i sessi di ogni etnia con una frequenza (alla nascita) di un malato ogni 17.000 sani a livello mondiale. Nel nostro Paese, dove è operativa la onlus Debra Italia, che fornisce indicazioni e assistenza alle famiglie dei pazienti, fortunatamente, la percentuale di bimbi malati si attesta su un caso ogni 82.000 nascite. La mortalità neonatale, infantile e dei giovani è alta; in Italia sono stimati circa 1200 casi di persone affette dalla sindrome. Speranze giungono dal fronte dei trapianti: proprio nel nostro Paese, l’équipe del professore Michele De Luca, dell’Università di Modena, ha eseguito il primo trapianto al mondo di pelle geneticamente modificata in paziente di EB giunzionale.
Risultati promettenti sono giunti da un progetto interregionale dell’Università di Salisburgo con l’ospedale di Bolzano: il trattamento dei piccoli pazienti con la terapia genica. Viene prelevato un certo numero di cellule cutanee e inserito un gene vettore; dopo la moltiplicazione in laboratorio delle cellule trattate, avviene il trapianto nel paziente. Vanno anche sottolineati gli aspetti psicologici e sociali che determinano la qualità della vita dei pazienti. I bambini malati non possono essere abbracciati e coccolati come tutti gli altri, sono esposti al rischio di lesioni anche in seguito a traumi di modestissima entità, il che limita la loro possibilità di giocare e interagire con i coetanei. I segni della malattia sono evidenti sui loro volti, esponendoli alla curiosità e ad infondati timori di contagio; l’EB non si trasmette da individuo ad individuo se non per via genetica (con la procreazione).
«Ho cercato di lasciarlo libero di giocare evitando di schiacciarlo con la mia ansia – ricorda la professoressa Luciana Massa, madre di Umberto, malato di EB, deceduto all’età di 16 anni a causa di un tumore – la collaborazione con gli insegnanti di mio figlio è sempre stata buona; era lui stesso a spiegare la sua condizione agli altri bimbi. All’inizio, parlo di molti anni fa, mio marito ed io ci siamo sentiti perduti, l’Inghilterra era lo nazione dove la ricerca e le cure erano più avanzate; il nostro Servizio sanitario nazionale pagava le terapie e la degenza di Umberto, il resto era a nostro carico, ora è tutto migliorato anche qui. Al di là del dolore resta la certezza che questi figli danno alla tua vita qualcosa di speciale, un senso alto alla tua esistenza».

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