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martedì, 22 Ottobre 2024

Assediato Palazzo di Città per il diritto alla casa

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Rifugiati dell’ex Moi di via Giordano Bruno, occupanti, militanti dei centri sociali ma non solo. Sono almeno cinquecento le persone radunatesi in presidio davanti in piazza Palazzo di Città, davanti al Comune, per chiedere per l’ennesima volta una residenza. E per protestare contro un silenzio delle istituzioni che si fa sempre più difficile da sopportare.
Hanno storie diverse tra loro i manifestanti, ma tutte segnate dal disagio di trovarsi in una situazione di precarietà. E dalla mancanza di un’abitazione sicura, con il timore di essere sgomberati e di trovarsi in mezzo alla strada in inverno, al freddo. Non solo: c’è anche la rabbia di continuare a fare le stesse richieste, senza risposta.
«E’ la quarta volta che ci troviamo qui in presidio – racconta Federica del centro sociale Askatasuna – abbiamo parlato con gli assessori ai Servizi Civici Stefano Gallo, ma abbiamo ottenuto solo vaghe promesse. L’ultima, di fissare un incontro entro il 10 novembre, è stata puntualmente disattesa. Ci è stato detto, in modo impreciso e incomprensibile, che i migranti sarebbero stati divisi in gruppi da 10 o 15 persone con una sorta di referente, ma niente di concreto è stato fatto e ad oggi non è chiaro come e quando dovrebbe avvenire questo. A livello nazionale, in un incontro a Firenze tra Regioni e Comuni andato a vuoto, niente è stato fatto. E la questione è ufficialmente diventata una patata bollente che le amministrazioni nazionale e locali si passano, senza soluzioni di sorta».

E intanto Samuel, Sid, Salomone, Margherita rimangono senza una residenza. Questo, che si tratti dei profughi libici in arrivo da un viaggio della speranza e parcheggiati nell’ex villaggio olimpico o di torinesi sfrattati dopo aver perso un lavoro, significa non poter accedere a molti contratti di lavoro, ai servizi sociali, agli asili nido, ai corsi di formazione professionale. Oltre, spesso, nel caso si tratti di stranieri, a non poter rinnovare il permesso di soggiorno.
«Siamo stati trattati due anni come animali addomesticati – dice Samuel, nigeriano 30enne – poi, finita l’Emergenza Nord Africa, non sapevamo cosa fare né dove andare. Ora viviamo anche in 10 in una stanza, con poco da mangiare (come spiegano i militanti del Gabrio, sono il Sermig e altre associazioni che spesso se ne occupano) e senza la possibilità di trovare una professione. A casa mia ero decoratore, dirigevo un gruppo di sette uomini, avevo una compagna e un figlio. Ora loro sono morti e io non posso né studiare né lavorare. Sono venuto qui perché non avevo altra scelta, non posso tornare indietro». E come lui gli altri, a cui si sommano vicende come quelle di Margherita, occupante di uno stabile di via Monginevro, senza un lavoro e con cinque figli a carico.
Il presidio si è concluso con un faccia a faccia tra istituzioni e manifestanti. Gli assessori Elide Tisi e Stefano Gallo sono usciti a parlare con i manifestanti e hanno concordato di rivedersi per un incontro venerdì 6 dicembre.
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