Francesco è uomo di gente. «Ho bisogno di gente, di trovare gente, di parlare con la gente». È il suo ambiente. Bisogno mai vinto, neppure scalando i gradini della gerarchia, che isola nella sacralità dell’ufficio. Al punto da sentirsi soffocato dai 300 metri quadri dell’appartamento papale in cui avrebbe dovuto consumare i suoi giorni. Molto meglio Santa Marta dove può ancora inciampare in gente comune con cui scambiare almeno un saluto. Lì, a portata di mano, anche la chiesetta parrocchiale vaticana dove celebrare e comunicare una riflessione quotidiana senza solenni bardature e fogli dai rotondi concetti e dalla lingua perfetta. Così, a braccio, da parroco, senza la cattedra magisteriale di San Pietro. Ogni giorno, facendo sentire a tutti che il papa cammina frammisto a loro, ciascuno coi proprio affanni, più bisognoso di cuore che di aride dottrine.
Se la carica non soffoca la sua umanità né il suo impegno celibatario gli impedisce di predicare la tenerezza, Francesco neppure teme la franchezza. Giorni fa, a Santa Marta, nella consueta riflessione, ha voluto evidenziare la diversità tra uomo peccatore e uomo corrotto. «Tutti dobbiamo dirci peccatori, ma dobbiamo guardarci dal diventare corrotti. La differenza è che chi pecca si pente. Quell’altro non si pente e continua a peccare, ma fa finta di essere cristiano e la doppia vita di un cristiano fa tanto male. “Ma io sono un benefattore della chiesa! Metto la mano in tasca e do alla chiesa”. Ma con l’altra mano ruba allo Stato, ai poveri… E questo merita – dice Gesù, non io – che gli mettano al collo una macina da mulino e sia gettato in mare!». Tre giorni dopo, commentando la parabola dell’amministratore disonesto di cui Gesù loda l’astuzia, aggiunge: «Questa è una lode della tangente… un’abitudine mondana e fortemente peccatrice. Dio ci ha comandato di portare a casa il pane col nostro lavoro onesto… Quest’uomo lo portava, ma come? Dava da mangiare ai suoi figli pane sporco».
Considerazioni forti facilmente riferibili all’oggi italiano. La corruzione è diventata sistema e mentalità. Tutto è tangentato, spesso anche i diritti. I piccoli la subiscono, i grandi ci sguazzano e s’impinguano in ragione del loro potere. Anche i cristiani? Come no, in un Paese dove quasi tutti si professano tali, tanto più quanto più sono in alto. Serve sempre. Si guardi nei luoghi del potere politico ed amministrativo, si osservi chi li abita e chi li bazzica e cadrà ogni dubbio. Corruzione e tangenti hanno radici lontane, ma in questo ventennio hanno conosciuto una fioritura impensata. Da comportamenti anomali ed occulti sono diventati regola e vanto. Chi non vi si adatta è uno stupido e chi li pratica ne va fiero. Il pesce puzza dal capo, ma l’infezione ed il lezzo si sono estesi velocemente al corpo.
Tutti i papi hanno biasimato questi crimini, ma la condanna di Francesco non ha l’ordinaria genericità. È realistica, descrittiva, incisiva. C’è la mano che allunga la tangente dopo che l’altra ha rubato allo Stato e al povero. C’è la doppia vita, il guadagno facile, la dignità persa, il pane sporco sulla mensa dei figli. C’è, infine, il tentavo di assolversi: «Ma io sono un benefattore della chiesa! Metto la mano in tasca e do alla chiesa». Così trascina sul palco della corruzione chi si nasconde dietro le quinte: la chiesa. L’obolo da lei artigliato è refurtiva e chi lo intasca ricettatore che tiene il sacco aperto, tanto più responsabile in quanto istituzione che si dice maestra di moralità. In questo ventennio di corruzione trionfante, la chiesa anziché gridare ai ladri ha teso loro la mano. Denaro, privilegi, leggi: tangenti: disparate per renderla collaborativa o almeno silente. Fin quando la nausea e la ribellione della chiesa minore si è imposta. Un periodo buio non per peccati di singoli, ma di struttura. Per tacere del rapporto con il secondo potere italiano: quello mafioso. Molto avrebbero da dire in proposito gli archivi della Banca vaticana.
Il “pane sporco” non manca sulle mense ecclesiastiche, imbandite ai poveri cui prima si è rubato. Soldo e potere sono una trappola sempre e per tutti. Anche la chiesa ha una doppia vita, due facce. Francesco, rifacendosi al vangelo, chiama chi le ha «ipocriti, putredine verniciata», meritevoli d’una macina al collo e d’essere precipitati in mare.
© RIPRODUZIONE RISERVATA