Si è concluso con cento anni complessivi di condanna il processo “Colpo di coda”, che si è svolto al tribunale del capoluogo piemontese sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel torinese e nel vercellese. Gli imputati, dodici in tutto, dovranno scontare pene che variano tra i sette anni e gli undici anni e otto mesi per associazione a delinquere di stampo mafioso e altri reati. La procura ha disposto la confisca di numerosi beni.
Alcuni dei dodici imputati sono figli e nipoti di quelli che sono considerati dall’accusa i primi affiliati alla ‘ndrangheta condannati a Reggio Calabria in una delle prime sentenze sul tema, nel lontano 1934, uomini che allora furono condannati per associazione a delinquere quando non esisteva il reato di associazione mafiosa. Il pubblico ministero Roberto Sparagna ha citato la sentenza del ’34 nella sua arringa per sottolineare le profonde radici degli imputati nell’ambiente mafioso, provocando la rabbia di alcuni parenti degli imputati che hanno urlato “Vergogna!” in aula.