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lunedì, 16 Settembre 2024

Adda passà a nuttata? No, questa volta no

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

di Mario Sechi

Informazione di servizio: il Comune di Torino, e non solo quello, è perso

. Hanno vinto gli altri, hanno conquistato l’Amministrazione e mentre noi continuiamo a raccontarci che è stata colpa del governo, della destra che ha votato contro di noi (incredibile vero?), delle periferie arrabbiate, ma soprattutto ingrate, degli immigrati o della penuria di alloggi, una nuova classe dirigente raccolta intorno ai 5 Stelle, più qualche innesto, rapidamente riconvertitosi, di quella precedente, prende possesso della stanza dei bottoni e si prepara a premere quei bottoni come meglio crede. Se poi al clima di benevolo consenso, che inevitabilmente avvolge la nuova inquilina di Palazzo Civico, si aggiungono assist insperati come quello fornito dalla consigliera Canalis con la sua geniale interpellanza, Chiara Appendino e la sua maggioranza possono dormire sonni tranquilli.

Se invece, come credo voglia la gran parte dei suoi militanti, iscritti ed elettori, è intenzione del Partito Democratico rendere il sonno del nuovo Sindaco perlomeno agitato e iniziare ad incalzarla, rivelandone contraddizioni e mettendo in crisi quel consenso che più per demeriti nostri che per meriti suoi ha conquistato, forse sarebbe ora di cambiare registro. Entrare nell’ordine d’idee che la nostra funzione, ora e per i prossimi anni, è quella di costruire, attraverso una strategia di opposizione che ancora non abbiamo ed una straordinaria capacità di rinnovamento dell’azione politica di cui si fatica a prendere consapevolezza, un’alternativa politica, amministrativa e di classe dirigente ai 5stelle, con la quale sfidarli e batterli alle prossime elezioni.

Questo, da che mondo è mondo, è ciò che fa una forza politica normale e sana, perché, da che mondo è mondo, le sconfitte sono occasione e motivo di rigenerazione, di profondo e generale rinnovamento, delle forme dell’azione politica, dell’idea di città, del sistema di relazioni e alleanze sociali con essa e della classe dirigente messa in campo  per dare concretezza e rappresentanza a quel rinnovamento. E ciò, a maggior ragione, se il senso politico profondo del voto, il suo insegnamento più denso di significato risiede proprio in una drammatica e persino rabbiosa richiesta di cambiamento, una richiesta da noi sottovalutata e dai nostri avversari invece sfruttata con tutta la strumentalità di cui sono capaci, ma, alla fine dei conti, comunque intercettata.
Di tutto ciò, man mano che passano i giorni e si sedimentano le analisi su quanto avvenuto nelle urne, vi è sempre maggiore evidenza, eppure questa consapevolezza, nel dibattito interno al pd o almeno al suo gruppo dirigente locale, ancora non c’è, salvo rare e isolate eccezioni, come ancora non c’è la conseguente determinazione a compiere gli atti necessari ad avviare il cambiamento: di profilo, di programmi e di persone.
Pare un altro invece, almeno nel gruppo di maggioranza costruito in questi anni intorno a Fassino, l’approccio: tenere botta, non recedendo di un millimetro da una narrazione tutta luci e niente ombre di questi ultimi anni, allontanando con sdegno ogni rilievo sui limiti, di ricambio e di apertura e di azione del partito,  che invece hanno pesato e molto sul risultato. Far passare la nottata, insomma, per poter riproporre al risveglio gli stessi equilibri e gli stessi interpreti che hanno guidato partito e città.
Questa volta però, “Adda passà a nuttata? No, questa volta no” non funziona, anzi rischia di infliggere al partito democratico di torino una seconda e definitiva batosta.
La strada, l’unica strada, è cambiare il Pd; cambiarlo da dentro, senza scorciatoie e senza furbate.
Bisogna aprire porte e finestre, far passare l’aria, costruire le occasioni e gli strumenti per realizzare un nuovo rapporto con la città. Non c’è da andare nelle periferie, frase che non significa nulla, bisogna togliere dalle periferie chi in questi anni, prendendosi   a suon di tessere e preferenze circoli e circoscrizioni, ha rappresentato il volto e la voce del partito, con i risultati che abbiamo visto.
Bisogna approfittare dell’occasione offerta dal referendum di ottobre per rendere le nostre sedi luoghi di confronto e discussione e non più di affiliazione e intruppamento e bisogna dare al partito una nuova linea politica e un nuovo gruppo dirigente, (a questo servono i congressi straordinari, non a consentire ad un gruppo di potere di sostituire il proprio rappresentante ) che nasce da un nuovo patto politico e sociale con la città.
Per vincere il referendum, occorre riconquistare credibilità e fiducia fra gli elettori e l’unico modo è ricostruire con loro questo partito, con loro e con tutti quei militanti, e non sono pochi, che non vedono l’ora di liberarsi della cappa asfissiante che tre o quattro controllori di tessere hanno fatto calare, all’ultimo congresso, sul partito.
Vincere il referendum, per il bene del Paese e per restituire prestigio a forza al partito democratico e poi portare quegli elettori e quei militanti a celebrare un vero congresso. Perché se è straordinario un congresso, straordinari devono essere anche i modi e le forme con cui svolgerlo. Non possono essere un migliaio di iscritti, portati al voto obbediente da tre o quattro capibastone, a dar vita al nuovo pd.
Insomma, se la prossima direzione provinciale del pd torinese assumesse queste due semplici e concrete decisioni, portare il referendum nei nostri circoli e poi svolgere un congresso aperto a tutti i nostri elettori, anziché discutere di fasi transitorie, cabine di regia, caminetti, dimissioni pilotate e altre formule di sapore stantio, si potrebbe dire e credere che è stata imboccata la strada giusta.

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