Esplode un pezzo significativo della polveriera della Penisola araba. O meglio, continua ad deflagrare, perché è da tempo che un Paese come lo Yemen è sballottato da un dirompente conflitto armato, che è per giunta duplice, in quanto combattuto dal governo yemenita contro le cellule islamiste e contro le milizie houti. Quel che altrove è stata chiamata “primavera araba”, nello Yemen, ha assunto vesti differenti, diventando un’occasione per le forze politiche e confessionali nemiche del governo di Sanaa.
Oggi il pentolone yemenita è tornato vigorosamente e sanguinosamente a bollire. Tre bombe sono esplose in tre moschee sciite della capitale. Un primo e parziale bilancio riporta la cifra di 142 morti. Le esplosioni sono avvenute in moschee frequentate dai ribelli sciiti houthi. La prima bomba è esplosa nella moschea di Badr in una zona a sud di Sanaa, una seconda all’ingresso di un’altra moschea mentre i fedeli erano in fuga ed una terza nella moschea di Al Hashahush, nel Nord della capitale. Gli attacchi, secondo il sito Site Intelligence Group, sono stati rivendicati dal gruppo Stato islamico.
Dal gennaio scorso Sanaa è sotto il controllo degli houthi, accusati di essere alleati dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh. Il presidente Abd Rabbo Mansur Hadi è stato prima messo agli arresti domiciliari e poi è stato sostituito Abdel Malik al Houthi, dopodiché Hadi è fuggito ad Aden, l’ex capitale dello Yemen del Sud. Oggi le bombe alle moschee, mentre si susseguono raid aerei e relative risposte della contraerea attorno al palazzo presidenziale e all’aeroporto di Aden.