Alla vigilia del suo insediamento, il neo presidente della Repubblica Sergio Mattarella dice addio alla toga da giudice costituzionale: l’ultimo atto si consumerà davanti alla Consulta riunita questa mattina in udienza privata. «Lascio il mio incarico a seguito della mia elezione a presidente della Repubblica».
Nel frattempo prosegue alacremente il lavoro di stesura del discorso di insediamento di domani che, assicurano i bene informati, si soffermerà in particolar modo sulla necessità di rinnovamento politico e istituzionale del Paese, e sull’urgenza di ricucire strappi e contrasti che dividono l’Italia.
«Vorrei subito mettere bene a fuoco un paio di temi – avrebbe precisato Mattarella – Lo scollamento fra politica e Paese e l’urgenza di tornare ad una politica alta, che si occupi dei problemi veri».
Gli sforzi della “politica alta”, tuttavia, sono concentrati in questi giorni nel ricucire strappi interni e esterni alle varie forze politiche seguiti all’elezione di Mattarella, oltre che nel tentare d’indovinare quale sarà l’atteggiamento del nuovo presidente della Repubblica nei confronti del processo di riforme avviato da Matteo Renzi e dalla sua maggioranza.
L’accordo raggiunto all’interno del Pd sul nome di Sergio Mattarella ha infatti provocato la reazione stizzita di Forza Italia, con Berlusconi che nei giorni scorsi dichiarava caduto il patto del Nazzareno stretto lo scorso anno con il segretario Pd e rinnovato nelle ultime settimane. Il presiedente del Consiglio ha però rimandato al mittente le parole di sfida, assicurando di avere i numeri per andare avanti anche senza l’aiuto del Cavaliere.
La decisione della dirigenza di Ncd di votare a favore del giudice costituzionale ha portato una bella dose di problemi anche ad Angelino Alfano che deve ora far fronte ai malumori sorti tra le sue fila. A cominciare da quello di Maurizio Sacconi, che durante lo scrutino ha annunciato le sue dimissioni dall’incarico di presidente dei senatori Ncd, e da Barbara Saltamartini che ha lasciato il suo ruolo di portavoce di partito. «Ho deciso io di votare Sergio Mattarella come presidente della Repubblica – si difende il ministro degli interni – Sono convinto di aver fatto bene anche se questo ha creato malumori nel mio partito. Non tratterrò nessuno come non ho costretto nessuno a venire».
Renzi nel frattempo seda ogni dubbio circa la possibilità che il processo di riforme avviato dal suo governo possa venire in qualche modo rallentato a seguito dell’elezione di Mattarella. «L’elezione del Capo dello Stato mette il turbo alle riforme» assicura il premier. Una risposta netta a Pierluigi Bersani e alla minoranza Pd che, nei giorni scorsi, aveva ipotizzato un’attenzione più puntigliosa del nuovo presidente della Repubblica nel vaglio delle riforme costituzionali. «Non è che Napolitano fosse meno rigoroso o attento, evitiamo di mettere in mezzo il Capo dello Stato. Le riforme vanno avanti perché servono all’Italia e agli italiani», ha assicurato Renzi.
Il messaggio di Renzi alla minoranza del Pd sembra insomma chiaro: la sintesi raggiunta con la nomina del presidente della Repubblica non vuole essere in nessun modo una resa di fronte all’opposizione interna, ne’ tantomeno motivo di rallentamento per le riforme avviate dal governo.