Nostra Signora Appendino ha deciso che la ricreazione è finita. Nel giro di poche ore ha licenziato il suo vice Guido Montanari e inviato un ultimatum al Movimento sociale Cinquestelle che la sostiene. In sostanza: se il buon senso non ritornerà a circolare liberamente tra i banchi della Sala Rossa scaldati dai pasdaran grillini, ipso facto Lei chiuderà anzitempo la consiliatura.
Tre anni dunque le devono essere apparsi sufficienti per riportare la politica dallo stadio primitivo delle battute ad effetto dei suoi assessori, dei dispetti e delle irrazionalità misurate un tanto a sciocchezza dei consiglieri pentastellati, dei collaboratori scelti tra improbabili monaci e veri pitbull, entrambi protagonisti (Giordana e Pasquaretta) di brutte figure mitiche, ad uno stadio adulto. Bentornata sindaca Chiara Appendino. Ora governa.
E nel giorno dei grandi ritorni, mi sembra doveroso il plauso ai compagni di Meranda, che di domenica hanno trionfato sui quotidiani, dagli Urali al Potomac.
Il signor Gianluca Meranda, come è ora noto, non è più un anonimo avvocato, massone dichiarato, in corsa per la mezz’ora di celebrità nel Russiagate in salsa verde. Se risulterà vero tutto quello che è stato detto e scritto in questi giorni, potremmo – il condizionale è d’obbligo- persino sostenere di rivedere nei compagni di Marenda l’antico e potente sodalizio massonico che in Italia, a decenni alterni, vuole rifondare a propria immagine e somiglianza il nostro Paese. Somiglianze pericolose, per la verità. Come quella che aveva in mente il pistoiese Licio Gelli, il capo della P2, che da promotore della Permaflex univa l’utile al dilettevole: vendeva i suoi materassi alle Forze Armate e cercava di corromperne i vertici per le sue trame eversive, coinvolgendo Servizi segreti, mentre intrallazzava beatamente con Roberto Calvi, “il banchiere di Dio”, a quel mefitico tavolo su cui giocavano anche il banchiere di Cosa Nostra Michele Sindona e sua Eminenza Marcinkus, il cardinale dello Ior, il cuore finanziario del Vaticano e ultimo il playfaccendiere Flavio Carboni.
Ma riletti a grande distanza da quegli avvenimenti, gli anni Settanta e Ottanta, quei nomi, quella squadretta di seri criminali, portano ad escludere che vi sia somiglianza con il presente.
È noto: la storia si declina nelle sue ripetizioni da dramma a farsa. E con i compagni di Marenda che raccolgono il meglio della comicità politica, da quel Savoini che nella fisiognomica delle tempie ricorda molto da vicino il ministro della Propaganda nazista Goebbels (perfettamente in linea con le sue simpatie, peraltro) alla corte che circonda Salvinman, la farsa, infatti, è quotidianamente assicurata.
Al dramma, invece, ci pensa in servizio permanente effettivo il destino dell’Italia.