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lunedì, 3 Febbraio 2025

Marco Follini, Democrazia Cristiana: il racconto di un partito

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Aldo Novellini
Aldo Novellini
Nato a Torino nel 1963, sposato, due figlie, giornalista pubblicista, collaboratore da molti anni del settimanale cattolico La Voce e il Tempo e Nuova Società. Dal 2015 è direttore responsabile della testata on line Agenda Domani

Forza di ispirazione cristiana ma profondamente laica (nessuno dei suoi leader avrebbe mai baciato il Rosario ad un comizio). Avversa al collettivismo ma neppure subalterna al  mercato capitalista, che seppe imbrigliare in un robusto solidarismo inteclassista. Al potere per decenni ma sempre ostile all’ “uomo solo al comando”, preferendo valorizzare la centralità del Parlamento, da eleggersi, come è ovvio, con  legge proporzionale per dare spazio a tutti. Questa fu – volendola definire in estrema sintesi – la Dc e così ce la presenta Marco Follini, nel suo ultimo libro, intitolato, per l’appunto “Democrazia cristiana, il racconto di un partito” (edizioni Sellerio).

L’autore – ex segretario giovanile della Dc a fine anni Settanta poi uomo politico della Seconda repubblica- da tempo si è un po’ defilato dalla scena pubblica, preferendo dedicarsi, con buoni esiti, alla scrittura. In quesot libro ci accompagna dunque in un viaggio all’interno del mondo democristiano, dentro quella Balena bianca che per mezzo secolo, nel bene e nel male, ha retto le sorti dell’Italia. Follini ci parla dei leader che ha conosciuto da Moro a Fanfani ad Andreotti, sino a De Mita (la cui segreteria viene considerata un po’ l’ultimo squillo di tromba di un partito ormai in difficoltà), ma soprattutto cerca di scandagliare a fondo la natura e le caratteristiche di quel corpaccione bianco che teneva insieme anime tante diverse, dalla sinistra sociale alla destra conservatrice.

Un partito che non fu mai veramente l’espressione dell’Italia borghese  (che guardava più verso i liberali e i repubblicani) né, tanto meno, quello degli intellettuali (per lo più attratti dall’ideologia di sinistra), ma che affondava le proprie radici nel cattolicesimo di un’Italia più modesta. Quella del pubblico impiego, del piccolo commercio, dell’impresa familiare, degli agricoltori, di pezzi di classe operaia. Un partito, quindi, autenticamente popolare, capace di cogliere gli umori più profondi del Paese.

Lo scudo crociato non fu peraltro soltanto la diga contro il comunismo. C’era anche dell’altro, come, molti anni dopo, sottolineò il settimanale comunista Rinascita: “La Dc ha avuto un merito: ha tenuto ancorato in una prospettiva democratica un pezzo di società italiana che era potenzialmente reazionaria. Finito quel partito, spappolato quel blocco sociale interclassista, il pezzo di società reazionaria si è spostato all’estrema destra”.

Poi, d’improvviso, tutto mutò. Molteplici fattori entrarono in gioco: dal crollo del Muro di Berlino, al malaffare scoperchiato dalla magistratura, al logorio di mezzo secolo ininterrotto di governo. Ma non ci fu solo questo. A cambiare era l’Italia che ormai volgeva il proprio sguardo in altre direzioni. E così per la Dc arrivò l’ora del tramonto, subitaneo ed inaspettato, come era stato il suo successo agli albori della Repubblica. Un ciclo storico e politico si era concluso. E se oggi c’è un po’ di nostalgia per il mondo democristiano è solo perchè chi è venuto dopo ha presto deluso le attese.

 

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