Pietro Tuttolomondo è tra i candidati al consiglio comunale di Torino per il Partito Democratico. Infermiere e sindacalista per le Rsu Cgil e commissario all’Ordine degli infermieri della provincia di Torino. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua visione di come deve essere Torino.
Chi non è nuovo alla politica, solitamente, nel ricandidarsi, racconta ciò che ha fatto e i risultati raggiunti dopo l’esperienza amministrativa. Chi come lei si candida invece per la prima volta, come pensa di conquistare la fiducia dei cittadini?
Vero, non ho da offrire successi di battaglie politiche, ma l’impegno che nel corso della vita ho messo sia in ambito professionale che personale per le cause in cui credevo. Ho sempre fatto a cazzotti nella mia vita, nel senso che ci ho sempre messo la faccia e mi sono sempre esposto nel dire ciò che penso, anche a rischio di ricevere pugni sul viso. Non è cosi scontato poter dire la propria ed essere ascoltati, ho potuto continuare a farlo nel corso degli anni, grazie alla credibilità che mi sono conquistato nel tempo. Sono stato sempre franco ed onesto, mai per un tornaconto personale ma per difendere il diritto alla salute.
Ha ricoperto diversi ruoli nell’ambito della sanità pubblica?
Il mio percorso professionale nasce nel 1998 con il diploma universitario per infermiere alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli studi di Torino, nel 2001 sono stato assunto al pronto soccorso delle Molinette e ho conseguito un master in management infermieristico. Da li ho ricoperto poi il ruolo di coordinatore del Pronto soccorso, in parallelo un impegno sindacale come RSU CGIL e commissario all’Ordine degli infermieri della provincia di Torino. Vent’anni di carriera durante i quali ho avuto la fortuna di ricoprire cariche che mi hanno permesso di vivere e conoscere la pubblica amministrazione sia come protagonista che come attore indiretto, una bivalenza che mi ha permesso di conoscere punti forti e debolezza del sistema pubblico.
Come è nata l’idea di candidarsi?
Sorrido perché più che un’idea è stata una proposta alla quale non ho avuto modo di sottrarmi vista l’intensità e la fiducia con cui mi è stata sottoposta dal senatore Mauro Laus. Lo stupore iniziale è stato poi sostituito dalla gratitudine per le parole che Laus mi ha riservato “La politica deve dare spazio a chi ha una bella storia da raccontare, e tu ce l’hai”, questo mi ha detto in uno dei nostri primi incontri. Ha sottolineato come la pandemia abbia messo in luce le mie qualità di uomo e di professionista, il mettermi sempre a servizio del cittadino, la capacità di fare squadra e di motivare anche nei momenti più difficili, il saper trovare soluzioni concrete e da subito realizzabili. Qualità che a detta del senatore è bene che si materializzino anche in ambito politico.
Che tipo di amministratore sarebbe se venisse eletto?
Vorrei essere un fuoriclasse proattivo. Spiego meglio. Spesso la politica trova soluzioni solo dopo il manifestarsi di problemi e criticità. L’amministratore proattivo, ha invece la capacità di anticipare il problema pensando già ad un eventuale paracadute organizzativo. Non si fa cogliere impreparato. Faccio un esempio: tutti ricordano i fatti di piazza san Carlo e il gran numero di persone ferite e coinvolte. Bene, alle Molinette nessuno si è fatto cogliere di sorpresa, tutti, dalla Direzione sanitaria, all’ultimo degli infermieri era preparato a fronteggiare una tale tragedia perché abbiamo lavorato per anni a piani di azione di quel tipo. Il covid ha invece evidenziato quanto, soprattutto le istituzioni, siano reattive e poco proattive.
Quali sono i temi sui quali crede di potersi spendere e su cui la politica deve accendere una lampadina?
Io credo che la politica debba investire sulla territorialità soprattutto perché la domanda sanitaria è cambiata. Viviamo in un paese e in una regione in cui il numero di anziani sta aumentando esponenzialmente. Oggi, più che mai, servono luoghi di cura per la cronicità e la fragilità. Dobbiamo intervenire sulla vicinanza sanitaria, rafforzando servizi di ospedalizzazione domiciliare, le case della salute, investire in ospedali di comunità. Mancano infermieri di famiglia per far diventare la logica della “presa in cura globale” del paziente una realtà. Quando parlo di cura globale parlo dell’aspetto fisico, psichico e sociale del paziente, tre ambiti troppo spesso lasciati separati e delegati a servizi esterni o privati. L’emergenza covid ci ha dimostrato quanto preparata ed efficiente sia la sanità pubblica e i professionisti che ci lavorano. Non dobbiamo più darli per scontato, tutelando il loro lavoro dal punto di vista della qualità, della soddisfazione, dell’efficacia e dell’efficienza.
In questa corsa per le comunali il suo nome è affiancato ad una donna, Maria Grazia Grippo, reduce da 5 anni di esperienza in Consiglio comunale. Cosa vuol dire per lei esserle accanto?
Sono abituato a lavorare in team. Essere in coppia, ed esserlo con Maria Grazia è un valore aggiunto per me, poiché è preparata e con esperienza. La squadra può vincere solo se i componenti sono eterogenei e cioè se hanno attitudini diverse, competenze diverse ed esperienze diverse. Un mix che permette di avere una visione prospettica completa e di lavorare bene nel lungo periodo.