Pubblichiamo dal blog di Fabrizio Peronaci, giornalista del “Corriere della Sera” e scrittore, l’ultimo contributo sul caso di Roberta Ragusa: la lettera aperta a Daniele, il figlio.
Caro Daniele,
non ti conosco personalmente e ti confesso che, le poche volte che mi è capitato di scrivere il tuo nome seguendo come giornalista la tragedia di tua mamma Roberta, quella splendida donna dagli occhi blu alla quale tutta Italia vuol bene, ho provato una sorta di pudore.
Una vocina mi diceva: lascialo stare, tienilo fuori, è un bambino, un ragazzo. È troppo giovane, non ha colpa dei mali del mondo. Nessuno ha il diritto di aggredirlo, invaderlo, fargli pesare un ruolo che non si è scelto, quello di figlio di un padre accusato della morte della madre e convivente di una donna che aveva imparato a conoscere come un’amica della sua mamma, la collaboratrice più fidata, la baby sitter che lo metteva a letto, l’accompagnava a scuola, gli preparava la pasta col pomodoro, capitata in casa per semplificare la vita di una famiglia, mica per complicarla.
La vocina mi diceva questo, Daniele – tenerti fuori, come qualsiasi buon padre farebbe, per amore nei tuoi confronti, e di tua sorella – fin quando, l’altra sera, vedendoti in televisione, in uno stato di semitrance con le palpebre più chiuse che aperte, quasi a volerti estraniare da quel che t’avevano indotto a fare, ho provato una pena talmente forte e profonda che mi sono ribellato.
In certi casi, vedi, indignarsi è doveroso e giusto. E anche gridarlo forte, chiaro. Specie quando, osservando la condotta di certi colleghi, mi rendo conto che il mestiere che amo e che ho scelto quando avevo la tua età rischia di degradarsi a triste spettacolo, circo sgangherato, autocelebrazione sterile e, soprattutto, indicibile tortura per le persone deboli e sfortunate come te, appunto. E allora ben venga un impulso civile, solidale.
Per questo, Daniele, sono qui a scusarmi a nome della mia categoria, a esprimerti solidarietà e a chiedere a tutti di fare lo stesso. Di rivolgerti una parola, un pensiero, un abbraccio ideale, che sono certo ti daranno un piccolo sollievo, ti scalderanno un po’ il cuore.
La mia solidarietà, lo dico senza giri di parole, è per l’inaudito massacro mediatico e psicologico al quale sei stato sottoposto l’altra sera, su un canale televisivo nazionale, davanti a un sacco di gente che da casa ti osservava turbata, allibita. Non dovrebbe accadere, in un Paese civile. A un certo punto, parlando di tua mamma Roberta, ti è scappato di dire: “Questa persona”. Non lo avresti voluto, lo so. È stato l’effetto della situazione. Un lapsus dovuto alla pressione emotiva e all’orrenda gogna, molto rischiosa per il tuo equilibrio psicofisico già precario, alla quale ti hanno spinto un po’ tuo padre Antonio, con l’obiettivo di ottenere una riduzione della pena e scansare il carcere, e un po’ i miei colleghi, forse convinti di fare uno scoop, quando invece l’unica cosa certa è che si stavano compiacendo nel farti tanto ma tanto male, era come se ti stessero scorticando vivo, inquadratura dopo inquadratura.
A tutti noi può capitare di sbagliare, ci mancherebbe. Ma alla fine, quando si sono addirittura congratulati per il tuo presunto coraggio nel “metterci la faccia”, ho avvertito una sorta di sadismo nell’averti condotto al centro dell’arena. Ma quale coraggio, ma quale forza d’animo! La banale realtà è che sei stato utilizzato per fare audience, per vendere più pubblicità al prossimo giro. E però tu, quando si è spenta la lucetta rossa, devi esserti sentito come se ti fosse passato sopra un asfaltatore, Daniele. Eri nudo, vivisezionato, compatito e deriso per tutti i tuoi tic davanti a centinaia di migliaia di telespettatori.
Ho temuto per te, lo confesso. Per ciò che avresti potuto fare all’uscita. Ci sarà pure un limite, in questa professione, all’uso e all’abuso delle persone? E’ una questione di etica, oltre che di deontologia. E non ci si nasconda dietro l’ipocrita giustificazione che sei maggiorenne, che hai 21 anni e puoi decidere autonomamente. Non è vero. La tua età reale s’è fermata a 15 anni, al blocco delle emozioni provato quando la donna che ti tenne in grembo spari’, la notte del 13 gennaio 2012, e tu non la trovasti in cucina a prepararti il latte con i biscotti.
Tua mamma ti abbraccia, ovunque ella sia. Solo lei e la sua memoria, in fondo, potranno sciogliere il tuo grumo di dolore e sgomento.
Osservavo come ti aggrappavi ai braccioli della poltrona, sbattendo le palpebre all’impazzata, Daniele, e il mio impulso l’altra sera e’ stato di telefonare ai colleghi della tv per implorarli di liberarti, di lasciarti andare. Immagino lo sapessi, prima che tuo padre e i suoi avvocati ti comunicassero la decisione di esporti alla ribalta nazionale, che il barnum mediatico funziona così. Se invece non lo avevi capito, ora lo sai. E il mio consiglio, non richiesto ma sincero – stanne alla larga, per carità! – potrebbe esserti utile la prossima volta.
Ma la nostra solidarietà, caro ragazzo, te la meriti anche da un altro punto di vista. Perché tu sei un figlio – come lo siamo stati tutti noi – e un figlio li ama entrambi, i suoi genitori. E quindi nessuno ha il diritto di chiederti di schierarti, tra tuo padre e tua madre. Nessuno. Neanche un prete, se credi. O il tuo amico del cuore, se ne hai. Figuriamoci un giornalista.
Ciao Daniele, cerca di stare bene, per quel che ti sarà possibile. Sei giovane, sensibile e travolto da fatti sanguinosi.
Il mondo dei grandi è uno schifo, ma anche un’impagabile riserva d’amore: nessuno ha il diritto di toglierti la speranza nella vita che hai di fronte. Io vorrei tanto crederti, Daniele, se anche tu credi a quel che hai detto. Sperare che Roberta sia viva e continuare ad aspettarla. Però, lo sai bene anche tu che qualcosa non quadra. E se conosci qualche dettaglio importante su ciò che è accaduto, come mi viene da ipotizzare – magari una lite per i soldi, una pista, una frase sentita in casa, un dubbio su chi possa averla ammazzata, o su dove è sepolta – ebbene, questo dettaglio tienilo pure per te. Non ne parlare con nessuno. Custodiscilo come un frammento di verità prezioso, sulla tua povera mamma. Fino al giorno in cui, se ci riuscirai, troverai la forza di andare a raccontarlo all’unica persona giusta: un magistrato.
Coraggio, Daniele, ne hai bisogno.
Spero tu sia riuscito a piangere, l’altra notte.
Un caro saluto
Fabrizio
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La tentazione di Fabrizio Peronaci
Giornalismo Investigativo by Fabrizio Peronaci