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martedì, 3 Dicembre 2024

Papa e papamobile al seguito (II parte)

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Scritto da Vittorino Merinas

È indubbio che i viaggi che un pontefice affronta, a volte anche faticosamente per età e salute, vogliano esprimere la sua vicinanza alle chiese sorelle sparse nel mondo, animarle nella loro missione evangelizzatrice e confortarle nelle prove spesso ardue fino a mettere in gioco la vita.

Una volontà di presenza che spinse Paolo VI ad oltrepassare per primo i confini italiani, dando inizio a viaggi diventati ormai una componente quasi irrinunciabile del ministero petrino, che ben si colloca nell’attuale società della multiforme comunicazione. Ciò che, però, motiva critiche anche forti di non pochi credenti che ritengono ancora il vangelo fondamento della loro fede, sono alcuni elementi che li caratterizzano, i quali trovarono terreno fertile nel chiassoso pontificato del polacco Wojtyla: la spettacolarità, il costo e l’assoggettamento ai rapporti politici della Santa Sede con le conseguenti tortuosità e ambiguità diplomatiche.

È inevitabile che il Papa porti con sé non solo la qualità di pastore della chiesa universale, ma anche di capo dello Stato Vaticano, cosicché colui su cui pesa la missione di andare, povero di patrimonio e potere e quindi libero da ogni umana soggezione, ad annunciare la buona novella del Dio liberatore, s’affretta, appena posto il piede sul suolo prescelto, ad omaggiare, ricambiato, i ricchi ed i potenti del mondo, contro i quali da Roma scaglia i suoi fulmini.

Scene del tutto contrastanti con quelle che caratterizzarono i viaggi del suo predecessore Pietro e dell’ancor più movimentato Paolo di Tarso. Anche Gesù, si dirà, non allontanava da sé i ricchi. Sicuramente, ma dopo aver messo in crisi le loro coscienze.

Non occorre impancarsi a giudici non richiesti di questi viaggi per coglierne la discordanza con quello di Gesù verso la città santa dell’ebraismo sul dorso d’un somarello e con la prospettiva di quanto poi accadde. Le ragioni del contrasto sono vistose. Innanzitutto, come s’è accennato, la loro sfarzosità. Percorsi e luoghi per l‘occasione ripuliti e risistemati, popolo plaudente, reciproci salamelecchi tra autorità sacre e profane conditi con discorsetti cerimoniosi e genericamente esortativi, altari-palcoscenico, eucarestie scenografiche non certo favorevoli raccoglimento… Il tutto proposto a livello mondiale dalle telecamere al seguito a dimostrare ed esaltare le entusiastiche e calorose accoglienze del sacro ospite. Insomma, una chiesa che gonfia petto e muscoli e fa mostra d’una gloria e d’un potere che non hanno nulla a che fare con la sua missione evangelizzatrice.

In secondo luogo, l’apostolato peregrinante dei pontefici si è fin qui dimostrato costosissimo. La contropartita in denaro degli oltre cento trionfali viaggi di Wojtyla con platee plaudenti e liturgie fastose è difficilmente calcolabile: uno scorrere di milioni, quasi fossero moneta spicciola, per la loro organizzazione, il loro corso e la ricca bustarella di ringraziamento per la concessa visita. Immutato il flusso di denaro per quelli dei suoi successori. La visita pastorale di Papa Benedetto ad Arezzo costò 500 mila euro. Quattro giorni nella sua Patria 25 milioni.

L’ascesa al soglio pontificio di Francesco, paladino di una chiesa povera e modesta e certo memore del senso e del modo della visita del suo omonimo d’Assisi al saladino, insinuò in molti credenti, desiderosi d’una chiesa più evangelica e meno baldanzosa, la speranza d’una presa di coscienza della dissonanza tra il messaggio di Gesù e le forme assunte dalle visite apostoliche. Con lui «vola la modestia assoluta» ha dichiarato chi gli è stato compagno di viaggio, con riferimento, però, al solo costo dell’adeguamento dell’aereo alle sue richieste, assai contenute rispetto a quelle dei suoi antecessori.

Invariati a tutt’oggi gli altri costi. Il palco per la messa, nella sua visita a Milano, costò 1 milione 300 mila euro. Undici milioni di dollari il viaggio in Perù, 6 in Ecuador, 10 in Messico, 45 milioni per la sua visita negli USA per il meeting mondiale delle famiglie.

Chi paga? Governi, privati facoltosi, diocesi locali e fedeli con le loro offerte.

Se il vescovo di Ginevra, dove la pecunia non è certo carente, in occasione della visita del papa dichiarava: «Ho buone ragioni di pensare che non resteremo con un debito sul groppone», immaginarsi le chiese in Paesi dove l’indigenza è di casa. Le critiche a questi viaggi, o più precisamente alle forme in cui si svolgono, non le metterà a tacere la dichiarazione del vescovo messicano Eugenio Lira«Nulla è per il Papa. Le spese che si faranno sono al servizio della gente».

Parole che ripropongono un vecchissimo ritornello. Risalgono ai primi secoli quando l’affluire nelle comunità cristiane di persone danarose coronato, poi, dalla conquista, con grande profusione di potere e denaro, da parte di Costantino della chiesa ormai istituzionalizzata, si pose il problema della ricchezza. Era inutile sfogliare i primi testi cristiani alla ricerca d’una sua giustificazione: o la ricchezza o la sequela di Gesù. Una condivisa ipocrita genialità insinuò la soluzione, a tutt’oggi tranquillizzante chi nella chiesa detiene il baculum di pastore: «Tutto per la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime».

(2, continua)

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