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Le idee possono più delle armi

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Scritto da Michele Paolino
In molti si stanno chiedendo quali siano le ragioni della crisi della sinistra e che cosa dovremmo fare per provare a invertire la rotta che in ogni parte del globo terrestre vede i cittadini scegliere la strada dei populisti e delle destre.
Sono tra coloro che ritengono che quanto accaduto ci metta di fronte alla necessità di un cambio di paradigma. Sarebbe un errore provare a leggere quanto sta accadendo con gli occhiali usati fino a oggi.
Vorrei cominciare questa riflessione partendo da alcuni passaggi contenuti nella lettera che Luigi Di Maio ha scritto a Repubblica il 6 marzo, due giorni dopo le elezioni. A un certo punto scrive:
“Da qui non si torna più indietro. Il voto ha ormai perso ogni connotazione ideologica. I cittadini non hanno votato per appartenenza o per simpatia, hanno votato per mettere al centro i temi che vivono nella propria quotidianità e per migliorare la propria qualità di vita”.
Più avanti ritorna su questo aspetto dicendo: «Non è stato un voto ideologico, così come non è stato un voto di protesta. È stato un voto programmatico».
Si tratta di affermazioni fondamentali, che sono in linea con quanto è stato più volte ripetuto da Beppe Grillo negli anni sul superamento dei concetti di “destra” e “sinistra” nell’ambito politico. Concetto riaffermato ancora pochi giorni fa sul Corriere della Sera con le seguenti parole: «La specie che sopravvive non è quella più forte, ma quella che si adatta meglio. Quindi noi siamo dentro democristiani, un po’ di destra, un po’ di sinistra e un po’ di centro, possiamo adattarci a qualsiasi cosa quindi vinceremo sempre noi sul clima, sull’ambiente, sulla terra».
Non mi soffermo sull’importante riferimento che Grillo fa al concetto di evoluzione contro quello di forza. Egli ha ragione, ma non può declinare una cosa tanto importante nella banale declinazione di poter dire tutto e il contrario di tutto in base alle convenienze elettorali o di consenso. Questo approccio e questi riferimenti del Movimento da un lato giustificano, appunto, le diverse posizioni che il Movimento 5 Stelle ha assunto su diversi temi, ma, dall’altro dischiudono un mondo, un discorso che è centrale per comprendere ciò che sta accadendo.
Che cosa significa l’affermazione “non è stato un voto ideologico”? Che cos’è l’ideologia? Lungi da me voler ripercorrere il significato di una parola che non ha pari nella storia del pensiero per i significati che le sono stati attribuiti. Ci basti qui ricordare le due tendenze generali che Norberto Bobbio ha proposto di chiamare debole e forte. L’ideologia in senso debole designa un insieme di credenze, di idee e di valori riguardante l’ordine politico e che ha la funzione di guidare i comportamenti politici collettivi. Esempi, in tal senso, sono stati e/o sono il liberalismo, il socialismo, il comunismo, il nazionalismo, ecc… L’ideologia in senso forte, invece, ha radici nel pensiero di Marx, che la intende come falsa coscienza che emerge dai rapporti di dominazione tra le classi.
Mi sono addentrato in questa (breve) riflessione perché ritengo che non esista possibilità di muovere politicamente le masse in una prospettiva medio lunga in assenza di un’ideologia (intesa in senso debole). Senza una visione condivisa del futuro, della vita comune e del ruolo che possono e devono avere i governi e le istituzioni il cittadino resta solo di fronte al suo bisogno immediato e di breve periodo. O io mi muovo, con altri, all’interno di un percorso che mi lascia intravedere un percorso di emancipazione individuale e collettivo oppure non ho alcun motivo per non ascoltare, volta per volta, chi mi offre una soluzione migliore per quello che è il mio problema oggi, in perfetto stile consumistico. Questo, credo, spieghi la forte mobilità del voto registrata dai tanti analisti.
Detta con altre parole non è sistemando un pochino l’offerta programmatica che la sinistra potrà superare la crisi che sta attraversando. Potrà forse vincere qualche elezione “giocando” sulla mobilità, ma non risolverà il problema profondo, di identità: di aver smesso, cioé, di esser forza liberatrice, emancipatrice delle masse popolari, dei tanti che hanno di meno sulla terra, compreso il ceto medio.
L’assenza di ideologia debole non porta che che all’affermazione esplicita o meno della falsa coscienza dei giorni nostri: esistiamo solo se consumiamo e se funzionali al sistema della finanza globalizzata.  Consumo, dunque sono! Scriveva Baumann.
Qual è oggi l’ideologia o quali sono le ideologie (intese sempre in senso debole) delle forze che si ritengono o si autodefiniscono “di sinistra”? Siamo socialisti? Comunisti? Socialdemocratici? Liberal? Qualcosa di nuovo ancora da definire? Esiste un insieme di idee, credenze, valori in cui riconoscersi e attorno ai quali provare a organizzare l’azione? Io credo di no. E credo anche che questo sia uno dei motivi fondamentali della crisi della sinistra, oggi, nel mondo. Una situazione pericolosa perché ci espone a due rischi, in termini di dinamiche. La prima è quella che già descriveva Antonio Gramsci parlando del fascismo in Italia:
Il fascismo si è presentato come l’anti-partito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia antisociale di alcuni strati del popolo italiano. (L’Ordine Nuovo, 26 aprile 1921).
Oggi dove si incanala “lo straripare selvaggio”? Dove finisce oggi ciò che il sociologo Sergio Manghi definisce il “risentimento”?
Di fronte alle paure, alle sofferenze, alle frustrazioni abbiamo bisogno di qualcosa che ci porti “un po’ più in là”, che ci metta in cammino verso un luogo (altrove) e un momento (non ancora) diversi e migliori da quelli di partenza.
Sottolineo questo aspetto perché la partita non è tra ideologia e pragmatismo, come ci ha più volte raccontato Sartori in un momento che usciva dall’esasperazione di un mondo suddiviso in due forti ideologie contrapposte al limite del rischio della distruzione globale e come, ingenuamente, oggi ci propongono i Cinque Stelle. Lo spazio lasciato vuoto dall’assenza di una certa ideologia viene occupato prima di tutto da altre ideologie o sistemi di credenze, come ad esempio il nazionalismo o nuove forme di estremismo religioso o dal migliore venditore di soluzioni o dal migliore mix di queste due alternative (da non sottovalutare nell’epoca dei big data e dei social network). Le idee possono di più delle armi, diceva, correttamente, Fidel Castro.
Quindi, che fare? Primo: ricostruire un’ideologia, un sistema di credenze, idee, valori chiaro e condiviso dalle forze di sinistra. Senza di essi la sinistra (o più correttamente le sinistre) non sarà in grado di offrire un percorso per affrontare paure e risentimento che sappia contrastare l’offerta fatta da altre ideologie che offrono chiusura e capri espriatori da incolpare.
Questo apre al secondo aspetto. Come farlo? Come ricostruire questa necessaria ideologia condivisa? Come hanno fatto, nella storia, i nostri padri: con un’Internazionale. Sto proponendo di scimmiottare la nostra storia? No, assolutamente no. Solo di trarre ispirazione per guardare al futuro.
Esiste un PSE, a oggi non pervenuto. A che serve? Che si convochino almeno gli Stati generali della sinistra (dei socialisti?) in Europa e non si sciolgano fino a quando non si chiarisce in maniera chiara quali sono i problemi che oggi vivono le persone nel mondo e in Europa e quali sono le proposte che si mettono in campo (come minimo a livello europeo) per “uscirne insieme” al posto dell’avarizia. Le soluzioni che ci arrivano dal passato non possono essere tout court la soluzione per il futuro. Questo, però, non toglie che non possano ispirarci o guidarci nella costruzione di ciò che di nuovo ci serve
Abbiamo bisogno di parole chiare e comuni. Di idee! Due anni fa ho partecipato al terzo raduno internazionale dei movimenti popolari indetto da Papa Francesco. Ecco l’incipit del discorso del Papa in quell’occasione:
Fratelli e sorelle buon pomeriggio!
In questo nostro terzo incontro esprimiamo la stessa sete, la sete di giustizia, lo stesso grido: terra, casa e lavoro per tutti.
Ringrazio i delegati che sono venuti dalle periferie urbane, rurali e industriali dei cinque continenti, più di 60 Paesi, per discutere ancora una volta su come difendere questi diritti che ci radunano.
Il Papa lo dice con chiarezza all’interno di un discorso più ampio dove la cornice è chiara: il sistema dominante attuale mette al centro il denaro e il profitto generando la distruzione del pianeta e una forte ingiustizia. La sinistra nel mondo ha bisogno di tornare a fare questo. L’Europa deve almeno provarci per provare a scongiurare i momenti bui che, viceversa, ci attendono.
Si tratta di una necessità, perché non esistono soluzioni locali ai problemi delle persone. Non esistono soluzioni locali alla mancanza di lavoro, alla sanità e all’istruzione diseguali, all’aumento delle diseguaglianze. Siamo nella fase storica della globalizzazione che è tale soprattutto in virtù della globalizzazione economica e finanziaria, con un potere politico, invece, che è rimasto di natura nazionale e oggi rischia di frammentarsi ulteriormente. Risultato? Scarsa o nulla capacità di incidere sui rapporti di forza esistenti.
Allora è un dovere ritrovarsi e provare a definire insieme alcune questioni di fondo:

  1. Qual è la posizione delle forze “di sinistra”, riformiste nei confronti del sistema capitalistico odierno? E’ da abbattere, da riformare, da tenere così com’è?
  2. Quali politiche fiscali mettere in campo nelle nostre comunità?
  3. Come combattiamo la redistribuzione al contrario che sta avvenendo negli ultimi decenni che sta spostando la crescita sulle rendite e non sulla produzione di servizi e di valore?
  4. Quali regole comuni per il mercato del lavoro per evitare che ci sia eccessiva convenienza per un’impresa che delocalizza?
  5. Come investire in una scuola pubblica  e di qualità per tutti?
  6. Come costruiamo i nostri sistemi sanitari per garantire il diritto alla salute a tutti i cittadini?
  7. Come riconvertiamo tutto il nostro sistema industriale in maniera ecologica e circolare?
  8. E ancora: quale ruolo le forze di sinistra vogliono che l’Europa giochi nel nuovo ordine mondiale che si sta configurando all’orizzonte?

Solo con un insieme di risposte a questo tipo di domande noi possiamo immaginare di poter dare una risposta convincente alle donne e agli uomini che oggi soffrono o si sentono minacciati, proponendo una visione che tenga conto di tutti e non solo del problema individuale. Senza di esso siamo condannati a stare nel gioco di chi vende il prodotto migliore “in quel momento”, diventando sempre più simili (perché li rincorriamo) ai nostri avversari politici e quindi a scomparire.
Le risposte, però, non potranno essere solo sul piano dei contenuti. Serve recuperare fiducia. Fiducia che è preliminare/contestuale alla condivisione di un’idea o di un progetto, soprattutto quando quest’ultimo non propone soddisfazioni immediate a bisogni personali o soluzioni semplici a problemi complessi. Fiducia che è particolarmente difficile nella nostra epoca delle passioni tristi
Durante il XX secolo abbiamo assistito a un capovolgimento fondamentale: siamo passati dal segno più al segno meno, dalla promessa alla minaccia. Il futuro non è più un luogo in cui staremo meglio, ma per la prima volta, dopo molti secoli, un momento da temere perché porta con sé peggioramenti.
Questo cambiamento interviene sul “senso” che diamo alla vita o sull’assenza di senso. Viviamo in un perenne stato di emergenza, in cui il mondo resta incomprensibile e non si intravede la via di uscita. Mancano quel “non ancora” e quell’altrove che ci permettevano di vivere qui, ma proiettati… Ci si sente inchiodati al presente, impotenti e quindi arrabbiati.
Le passioni (tristi) dominanti oggi sono rabbia e risentimento. Che fare di fronte a questo? Qualcuno cavalca questi sentimenti per vendere meglio il proprio prodotto. E ci sta riuscendo alla grande.
La gente è arrabbiata con i politici perché siamo nel tempo del “tradimento” e dell’impotenza, del “tanto non cambia nulla”, delle attese negate, respinte,  tradite: “cara politica, come la scienza, mi hai detto che mi avresti dato la felicità, ma così non è stato. Anzi, in un mondo globalizzato è la finanza che decide tutto e io sto sempre peggio”. L’ingiustizia è sempre più forte: né comunismo né capitalismo hanno mantenuto le promesse. Ancora una volta siamo piombati nell’insicurezza. Da questa dinamica scaturisce la forte richiesta di sicurezza che porta all’isolamento e alla rottura dei legami. L’altro minaccia la mia sopravvivenza.
Il tradimento della politica è particolarmente doloroso, profondo.
E che cosa può fare il Partito Democratico in tutto questo?
to be continued…

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