A qualche settimane dai festeggiamenti natalizi si contano 4 milioni di italiani bisognosi di aiuto sul fronte alimentare per il pranzo del 25 Dicembre: una forbice che si allarga durante la pandemia di COVID-19 che, tra le altre cose, ha portato un impoverimento delle famiglie italiane fino a raggiungere un tasso complessivo del 58% che dichiara di arrivare con difficoltà alla fine del mese. Gli aiuti non sono tardati ad arrivare: è stato istituito un fondo emergenza da 250 milioni all’intero del Decreto Rilancio, grazie ad iniziative solidali sono pronti per essere distribuiti 2 milioni di chili tra formaggi, salumi, pasta, farina Made in Italy di prima necessità.
Con la poca liquidità disponibile e l’antropologica necessità di nutrirsi ci si auspicherebbe che i consumatori fossero almeno messi nella condizione di poter scegliere buoni alimenti. Purtroppo non è così e la questione si dirama a livello europeo: dal 2017 è in corso un dibattito di ampio respiro che si è allargato in merito al progetto Farm to Fork Strategy (portare dal produttore al consumatore viveri sani, economicamente accessibili e sostenibili) pubblicato quest’anno che ha creato uno scisma riguardo a diversi sistemi di etichettatura nutrizionale da apporre sui packaging dei prodotti. Tutto ruota attorno a come comunicare il contenuto di un determinato articolo e quale metro di giudizio adottare per invogliare il consumatore a una scelta in linea con una dieta sana.
La Francia è stato il primo paese membro a proporre il sistema Nutri-score, nato nel 2013 attraverso un progetto di Serge Hercberg: una legenda a cinque elementi che assumono colori dal verde al rosso passando per le cromie del giallo e arancione, corredati ciascuno da una delle prime cinque lettere dell’alfabeto, per indicare quanto un cibo sia salubre o meno. La merce migliore, in termini di bontà nella composizione, ottiene una “A” verdeggiante e così a degradare. Il modello francese è avvalorato da Belgio, e Germania che ha adottato il sistema a inizio novembre. Ma come vengono incasellati i beni alimentari nelle cinque possibili categorie di appartenenza?
Nutri-score si basa su un algoritmo che presume l’assunzione di 100 grammi di prodotto al giorno senza far distinzioni sul reale consumo differenziato tra, per esempio, l’assunzione di biscotti al burro e il condimento di un’insalata con olio e aceto. Così il sistema d’oltralpe forse semplifica un po’ troppo e condanna nel girone dei “cattivi” alimenti anche cibi DOP e IGP: cartellino arancione per l’extravergine d’oliva, il prosciutto crudo o il Parmigiano Reggiano in quanto ricchi di grassi e sale, senza valutarne l’incidenza reale dovuta a un giusto utilizzo. Raggiungendo picchi di assurdità, Nutri-score suggerisce quindi di dissetarsi con bibite gassate piene di additivi e far colazione con cereali ricchi di conservanti e zuccheri raffinati.
Si capisce come l’Italia abbia avvertito un rischioso danno al suo iconico Made in Italy e ai benefici, scientificamente comprovati, della nota dieta mediterranea: grande alleata contro l’obesità, porta ad esempio a diminuire il colesterolo entro un mese. Recenti studi hanno dimostrato riduca tra gli over 65 il tasso di mortalità del 25% e diminuisca l’impatto ambientale del 65%, grazie alla frugale prevalenza di legumi, frutta e verdura, rispetto a diete nord-europee o nordamericane che privilegiano carni, insaccati e grassi animali. Infatti, gli americani ci danno un’idea di quello che potrebbe succedere in Europa visto che il 25% degli statunitensi nel 2020 è obeso (una persona su quattro) e il costo annuale per le cure contro l’obesità si aggiravano, già a aprire dal 2008, intorno ai 147 miliardi di dollari.
L’Italia con sei altri paesi europei – Repubblica Ceca, Romania, Lettonia, Ungheria, Grecia e Cipro – condividono gli stessi ideali riguardo a un sistema armonizzato di etichettatura alimentare che si oppongono all’approccio Nutri-score. Il fronte italiano, rappresentato dal Ministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova, ha presentato un sistema opposto al Nutri-score denominato NutrInform Battery.
In Italia, NutrInform, dopo aver ottenuto il via libera dalla Commissione Europea, è stato oggetto del recente decreto ratificato da Bellanova per introdurre un logo nutrizionale facoltativo così da rendere chiaramente leggibili ai consumatori tutte le informazioni degli alimenti: energia, grassi, grassi saturi, zuccheri, sale che compongono una porzione di cibo. Esclusi quelli DOP e IGP, da tempo disciplinati attraverso norme specifiche a garanzia di qualità e sicurezza.
NutrInform si basa sul concetto di porzione: l’utilizzo effettivo giornaliero di ogni alimento che può variare fino a dosi molto limitate come nel caso dell’extravergine. Come ha dichiarato Bellanova: “è un’alternativa di gran lunga migliore perché non penalizzante. Non dà patenti di buono o cattivo: informa”. Nutri-score sembra vacillare con la rigida dinamica aut-aut che propone anche se è adottato in Francia da molte aziende e riceve il sostegno da multinazionali come Auchan, Carrefour, Nestlé. C’è anche da chiedersi quanto un sistema affidato a soli calcoli numerici possa essere manipolato con operazioni di lobbying all’interno del mercato agroalimentare. La scelta è tra informare o bollare per mezzo di un algoritmo alimenti che, se pur scadenti ma più economici, risulterebbero essere migliori nel loro contenuto secondo il sistema francese. Così da condizionare malamente le poche scelte alimentari dei consumatori oggi, più che mai limitate e orientate al risparmio a causa dell’impoverimento dovuto alla pandemia.
Entro il 2022 l’UE stabilirà quale sistema adottare ma sembra sempre più cristallina l’importanza di rispettare le culture enogastronomiche nazionali e la salute dei propri cittadini senza che algoritmici, fuorvianti bollini verdi li portino ad acquistare cibi malsani a basso costo a discapito di alimenti più puri, a volte addirittura Km 0, anch’essi economici e spesso provenienti da piccole realtà a conduzione familiare.