Nel giorno in cui le piazze si sono riempite di giovani per il Climate Strike abbiamo posto alcune domande a Eleonora Evi. Milanese, europarlamentare al secondo mandato , co-portavoce di Europa Verde, candidata alla Camera in queste politiche 2022 per la quale la transizione ecologica non è un bagno di sangue ma una grande opportunità di rilancio.
Tutti oggi si dichiarano a parole ambientalisti ma l’emergenza climatica e la crisi dell’energia impongono scelte radicali e green che si scontrano con il modello iper consumistico. In cosa i verdi si distinguono oggi?
Noi Verdi ci differenziamo da tutti gli altri perché siamo l’unico partito che da sempre ha ascoltato la scienza e parlato di crisi climatica, anche quando non ne parlava nessuno. Come partito autenticamente ecologista ci siamo fatti carico di istanze fondamentali per contrastare la crisi climatica, proponendo un programma politico a tutto tondo, che pone al centro misure concrete per fronteggiare l’emergenza climatica (perché definirlo cambiamento climatico è certamente riduttivo) e l’emergenza sociale, perché sono due facce della stessa medaglia che vanno contrastate con la stessa convinzione e urgenza. Per questo ci batteremo per assicurare giustizia ambientale e sociale, mettendo in campo azioni concrete: salario minimo, riduzione degli orari lavorativi a parità di salario, lotta al precariato, spinta sulla conversione ecologica – che garantirebbe nuovi posti di lavoro in settori diversificati – legge sul clima entro i primi 100 giorni di governo, accelerazione verso il passaggio alle rinnovabili – per ridurre le bollette e liberarci dal giogo dei regimi autocratici che ci tengono in scacco a causa del gas -, forte lavoro per cambiare i sistemi alimentari, abbandonando gli allevamenti intensivi in favore di una dieta più sana per la salute e più sostenibile per l’ambiente. Il modello iper consumistico non è più sostenibile e a dirlo è la scienza, il cambiamento è quindi assolutamente necessario, ma non dobbiamo vederlo come qualcosa di negativo, anzi. Pensiamo ad esempio alla transizione ecologica: accreditati studi hanno dimostrato da tempo che una vera transizione creerebbe tantissimi nuovi posti di lavoro in settori diversificati, configurandosi come un eccellente volano per la nostra economia. Dobbiamo affrancarci dalla narrazione della transizione come “bagno di sangue”, come ama definirla il Ministro Cingolani, e coglierne invece l’imperdibile opportunità di rilancio, come molti paesi stanno già facendo. L’Italia non può restare al palo.
Lei ha da poco appoggiato una articolata proposta di risoluzione per intensificare l’impegno della UE per contrastare il cambiamento del clima (siccità, incendi, fenomeni meteorologici estremi). Quali sviluppi e quali ostacoli potrà avere in concreto?
Innanzitutto la proposta di risoluzione di noi Verdi/ALE è stata accettata come base della risoluzione comune, quindi tutte le nostre idee sono state integrate nel documento finale, firmato dalla maggior parte dei gruppi politici, eccetto l’ID (di cui fa parte la Lega). Il testo finale chiede maggiori sforzi da parte dell’UE nella mitigazione della crisi climatica, al fine di contenere il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, e chiede la massima ambizione per quanto riguarda il pacchetto Fit for 55. Inoltre la risoluzione offre un’ulteriore spinta alla legge europea per il ripristino della natura, soprattutto per quegli ecosistemi resistenti alla siccità, ed invoca il ripristino di foreste con copertura continua e delle zone umide. Il testo della risoluzione comune era debole sulle abitazioni e sulla speculazione idrica, ed è per questo che noi Verdi abbiamo presentato diversi emendamenti che chiedono con urgenza di garantire l’accesso a un alloggio adeguato, in quanto un diritto fondamentale, e la rapida adozione di un ambizioso fondo sociale per il clima al fine di sostenere i gruppi più svantaggiati. Infine abbiamo presentato anche un emendamento contro la speculazione idrica. Fortunatamente queste nostre modifiche sono state approvate e sono ora parte del testo. Il voto della risoluzione comune del 15 settembre ha concluso la procedura legislativa e quindi la risoluzione costituisce soprattutto un messaggio politico rivolto alle istituzioni europee, affinché non perdano di vista gli obiettivi ambiziosi che si sono prefissate. La risoluzione chiede infatti anche una rapida implementazione delle Strategie Farm to Fork e della biodiversità. Inoltre ricorda la necessità di una normativa forte sulla salute del suolo entro il 2023. Infine, ritengo che la risoluzione costituisca un buon messaggio per quanto riguarda l’azione globale per il clima e la necessità di attuare la Convenzione sulla diversità biologica.
L’Europa e il suo modello sono sotto attacco (da est e da ovest e non solo ) quanto conta per voi il rafforzamento del soggetto comunitario?
Ritengo l’avanzamento del processo d’integrazione dell’Europa assolutamente necessario e urgente. A chiedercelo sono gli stessi cittadini europei che, in occasione della COFE, la conferenza sul futuro dell’Europa, a cui ho avuto l’onore di partecipare, hanno esplicitamente richiesto il rafforzamento del soggetto comunitario. I cittadini hanno, infatti, approvato un documento finale, che è stato accolto dal Parlamento europeo e recentemente dalla Commissione, illustrando una serie esaustiva di proposte che hanno come obiettivo il miglioramento della vita di noi europei e il consolidamento della casa europea.
Un’Europa salda e forte nei suoi principi e nei suoi valori è fondamentale per fare da argine, e lo abbiamo visto proprio di recente, ai tentativi di smantellamento dello Stato di diritto, portati avanti da Polonia e Ungheria, dove i diritti civili, soprattutto delle donne e delle comunità LGBTIQ, sono fortemente compromessi. Non a caso, proprio nei giorni scorsi, il Parlamento Ue ha votato a stragrande maggioranza una risoluzione in base alla quale l’Ungheria di Orban non può più essere considerato un paese democratico, ma un regime di autocrazia elettorale. Desta preoccupazione che Lega e Fratelli d’Italia abbiano votato contro, rendendo espliciti quali siano i loro modelli di riferimento in Europa. Un voto che deve risuonare come un forte campanello d’allarme anche per l’Italia qualora venisse governata da questa destra che di moderato non ha ormai più nulla, ma che possiamo definire senza indugi estrema. L’importanza di un’Europa forte si è vista anche con la pandemia, in risposta alla quale l’Unione Europea ha avuto una reazione compatta e subitanea. Lo constatiamo anche adesso, rispetto alla guerra di Putin contro l’Ucraina. L’Europa è sicuramente una roccaforte dei diritti democratici, umani e civili, ma deve sempre più delinearsi come una casa accogliente, che non lasci indietro nessuno e che consenta a tutti di condividerne lo spirito democratico sulla base del quale è stata ideata dai padri fondatori.
La crisi dell’energia impone comportamenti virtuosi che implicano un coinvolgimento di tutti. Cosa ne pensa?
Che l ’energia migliore è quella che non consumiamo e, quindi, oltre a puntare speditamente sulle fonti rinnovabili, dobbiamo decisamente mirare all’efficientamento energetico. Siamo convinti che tutti debbano essere messi nelle condizioni di produrre energia pulita e di condividere e scambiare l’energia prodotta attraverso la rete elettrica e il relativo mercato, che devono essere riorganizzati per gestire il 100% di energia elettrica rinnovabile. L’energia deve diventare un bene comune, staccandosi dalla logica dei sistemi centralizzati in cui pochi producono/distribuiscono e tutti consumano la risorsa, se hanno la possibilità di acquistarla. La democrazia energetica si può realizzare attraverso un’economia di condivisione del vettore energetico che alimenta le nostre società e una rete che supporta l’autoconsumo collettivo, attraverso l’indispensabile evoluzione delle comunità energetiche. In quest’ottica, è di primaria importanza sviluppare un piano che definisca tempi e modalità per il definitivo abbandono del gas metano dal sistema energetico nazionale e la progressiva totale eliminazione dei combustibili fossili dalle abitazioni e da tutta la nostra economia in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
La recente crisi del prezzo del gas e delle forniture ci rinforza nella convinzione di accelerare l’uscita dall’economia delle energie fossili per costruire un modello resiliente in grado di fornire energia ai cittadini per i loro bisogni a un prezzo equo e stabile nel tempo, senza speculazioni e senza impatti climatici. Bisogna quindi accelerare, in tutte le Regioni italiane ove questo sia possibile, la produzione di energia elettrica rinnovabile fino a raggiungere l’installazione di 15 GW all’anno, dando priorità anche attraverso adeguati incentivi economici allo sviluppo sui tetti e sul tessuto industriale e sulle aree idonee nel rispetto della normativa VIA. Questo permetterebbe di ottenere l’80% di penetrazione rinnovabile al 2030 e quasi 100% al 2035 grazie alla realizzazione di una programmazione annuale minima di sviluppo rinnovabili e attraverso il tanto atteso sblocco alle autorizzazioni, dando priorità ad energia solare ed eolico a terra e marino. Come AVS, siamo inoltre fermamente contrari alla falsa soluzione delnucleare, e chiediamo il rispetto del mandato democratico dei due referendum tenutisi al riguardo. Da tempo ci battiamo infatti per fare chiarezza sull’inesistente nucleare di quarta generazione e sulla fantomatica fusione nucleare, ancora troppo lontana nel tempo. Siamo altresì contrari a nuove trivellazioni e sosteniamo l’individuazione di piano graduale di uscita dalla produzione fossile nazionale entro il 2045, unendosi in occasione della COP27 ai paesi dell’Alleanza oltre il Petrolio e il Gas (BOGA) guidata dalla Danimarca. In questo ambito, siamo anche a favore della revisione del sistema delle royalties sulla produzione nazionale per recuperare gli extraprofitti delle imprese fossili durante la crisi russa.
Oggi si parla di ritorno al nucleare in quanto le rinnovabili, per quanto in aumento non sarebbero sufficienti per sostenere sistemi industriali complessi. C’è pero chi non è d’accordo.
Non siamo solo noi di Europa Verde a ritenere il nucleare tutto fuorché una strada sostenibile da per la sicurezza energetica del nostro Paese, è la scienza che continua a ripetercelo.
Stiamo infatti parlando di un’energia che è provatamente ancora pericolosa e molto costosa, che non andrebbe a ridurre i costi delle bollette per gli italiani, ma finirebbe solo ad aumentare sostanzialmente il debito nazionale. Se guardiamo a cosa succede in Francia, scopriamo che EDF, la maggiore azienda produttrice e distributrice di elettricità, è stata recentemente capitalizzata e poi nazionalizzata con un intervento statale di oltre 13 miliardi di euro perché fortemente indebitata e in mancanza di investitori interessati. E non solo in Francia: un recente studio ha evidenziato che su 180 impianti nucleari, a fronte di investimenti iniziali per 459 miliardi di dollari, si sono avuti sforamenti per 231 miliardi e per 9 centrali su 10 si è speso più di quanto preventivato. Senza ingenti finanziamenti pubblici non c’è nucleare! Per non parlare della presunta affidabilità del nucleare, sempre più millantata dai soliti partiti nuclearisti, rispetto alle rinnovabili quali eolico e solare.
Questa narrativa omette colpevolmente il fatto che le centrali nucleari abbisognano di grandi quantità di acqua per garantire il raffreddamento dei reattori. La siccità che ha caratterizzato questi mesi estivi, e che non è purtroppo un fenomeno estemporaneo ma una conseguenza della crisi climatica che tenderà ad aggravarsi, ha quindi messo a rischio la produzione di energia nucleare e ha ridotto la capacità dei reattori francesi. Ad oggi infatti circa la metà delle centrali francesi è chiusa per vetustà degli impianti e mancanza di acqua, con buona pace di chi continua a proporre il nucleare come fonte sicura e costante. Per queste ragioni noi di Europa Verde e Alleanza Verdi e Sinistra siamo convinti che il nucleare non sia una strada percorribile per l’Italia, che tra l’altro non dispone di alcun sito compatibile a causa della densità della popolazione, della sismicità e della siccità che purtroppo caratterizza e caratterizzerà sempre più il nostro Paese.
Perché in Italia i verdi non hanno mai raggiunto i risultati di altri paesi europei?
Un aspetto che potrebbe aver avuto un ruolo importante nel determinare questa situazione sono le condizioni sociali. Nei paesi nordeuropei c’è meno povertà e disoccupazione rispetto ai paesi mediterranei, dove alcune fasce sociali pensano che interessarsi ai temi ambientali sia un lusso e che ci siano ben altri problemi a cui pensare, dimenticando che la tutela del pianeta è la conditio sin qua non per poter affrontare tutti gli altri problemi.
Inoltre, lo scarso successo dei Verdi italiani si spiega in parte anche per certi tratti culturali dei paesi mediterranei. Senza voler generalizzare, la nostra storia recente, fatta di abusi edilizi e cementificazione di vaste aree costiere, dimostra la tendenza italiana a non considerare l’ambiente come un patrimonio da preservare. Le cose stanno cambiando, ma purtroppo in Italia siamo abituati ad avere a che fare con sversamenti di rifiuti illeciti o costruzioni abusive moto più che in altri paesi, dove questi fenomeni sono meno assidui.