“Io dovrei stare in galera e invece non ci sono mai andato nemmeno per un giorno. Perché?”
Il supertestimone del caso Orlandi il fotografo Marco Fassoni Accetti, autoaccusatosi di aver preso parte al rapimento di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, dopo un lungo silenzio ci ha parlato a ruota libera dello stallo di questa vicenda.
È lui il telefonista detto l’Amerikano che nel 2013 fece ritrovare il flauto della ragazza, avvolto in una copia di un giornale dell’epoca, che riportava un appello del padre di Emanuela.
In merito all’appello di quel giornale ingiallito dal tempo precisa: “Il mio scopo era il riferimento ad Ali Agca (all’epoca si era ventilato uno scambio tra la ragazza e la liberazione del lupo grigio) e non genericamente al Vaticano, come potrebbe apparire”, aggiungendo alcune parole verso Ercole Orlandi, il papà di Emanuela “un uomo davvero determinato”. (ricordiamo che prima di morire a 74 anni Ercole Orlandi fece cenno al figlio riguardo responsabilità e tradimenti di esponenti del Vaticano che aveva sempre servito).
Accetti non vuole entrare nel merito degli innumerevoli dettagli esposti nel suo memoriale e su quanto emerso nella trafila di interrogatori con il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, che ha condotto per anni le indagini sulla vicenda.
“Dopo il 1983 il mio ruolo si era esaurito e ora ognuno si tutela mostrandosi affidabile mentre la verità è molto più semplice di quella che si vuole far apparire, ma..”.
“Gli inquirenti sanno bene come sono andate le cose ma è tutto bloccato da tempo. Non ci sono grandi segreti”.
Poi attacca il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi: “Ormai è un opinionista di Sky e la sua avvocatessa si è garantita una grande visibilità. Il caso Orlandi è una gallina dalle uova d’oro. Parlano del nulla e poi vanno a credere alla bufala delle tombe vaticane”.
E aggiunge su Pietro, (protagonista di tutto il movimento e la mobilitazione che ha tenuto vivo il caso fino ad ora): “È un giustizialista che ama apparire e crede nella favola delle tombe teutoniche”. Una reazione che parte dalle forti critiche e perplessità che Pietro Orlandi ha manifestato sulle dichiarazioni del fotografo che in ogni caso è stato complice di una vicenda criminale.
Sullo stallo del caso per Accetti “la vicenda è entrata nel mercato dell’immagine, in cui è troppo facile chiamare in causa genericamente Vaticano e altri soggetti”, e polemicamente aggiunge: -”Per emergere sui media (e su quella che definisce come massocrazia), la devi sparare grossa. Accusare di ogni cosa il Vaticano è facile, mettendo nel calderone anche Banda della Magliana, Ior…”, in quello che per lui un racconto plebeo.
“La verità è che il caso Orlandi è diventato una industria”. Per l’Accetti pensiero si dovrebbero prendere in considerazione solo i detective e i veri giornalisti investigativi e non chi cerca solo visibilità.
“Non si va in trasmissione per fare indagini che non possono essere legate ad ascolti che ottieni solo se le spari, citando nomi come Marcinkus, e intrighi vari – afferma – Il caso Orlandi era una cosa poi è stato volutamente trasformato in qualcos’altro che non è certo quello che viene raccontato. Un quadro in cui si sostituisce la realtà anche se certo il procuratore Giuseppe Pignatone ha avuto la responsabilità dell’archiviazione”.
Accetti rivolge qualche critica anche per Giancarlo Capaldo, il procuratore aggiunto che per anni ha seguito le indagini su questo caso con molto impegno, interrogando più volte anche lo stesso Accetti.
“Certo se Capaldo avesse messo sotto accusa la diplomazia Vaticana… ma non era possibile e la Santa Sede non ne poteva più di essere costantemente oggetto di sospetti e attacchi”. E aggiunge: “meglio chiudere con la favola della Magliana ricettacolo di ogni colpa. Si tratta di un’opportunità diplomatica”.
Insomma il Vaticano non ne potevano più di essere continuamente oggetto di sospetti e attacchi legati a vario titolo alla vicenda, come per la tomba del boss della Banda della Magliana Renatino De Pedis. “Avranno protestato. Meglio chiudere. Qui siamo a Roma non in America. A Roma c’è il Vaticano”.
Poi ritorna ancora sul magistrato Capaldo: “non ha battagliato come avrebbe potuto, specie ora che ha lasciato la magistratura e avrebbe potuto almeno reagire e raccontare. Se lui avesse fortificato la sua istruttoria Pignatone non avrebbe potuto chiudere”.
Finalmente poi il supertestimone entra in un dettaglio concreto emblematico: il suo tentativo di far riesumare dai magistrati la tomba al cimitero del Verano di un’altra ragazza coinvolta nella querelle, Katy Skerl, strangolata a 17 anni. “Quella tomba è vuota. È stata profanata al Verano e portata altrove, ma stranamente la famiglia non si è interessata. Non ha sollevato alcuna istanza e continuano a portare i fiori su una tomba vuota”.
Accetti si dice poi in fondo fortunato: “Non credo negli incantesimi, nella sfortuna, ma la cosa bella è che sono libero. E in questa storia dal fascino immenso io ho avuto la fortuna di non fare nemmeno un giorno di carcere”. (pur essendo reo confesso e avendo fatto ritrovare il flauto di Emanuela). Secondo il fotografo è stato meglio lasciarlo fuori dai giochi in libertà piuttosto che far emergere le pesanti verità.
“Loro sanno che potrei fare dei nomi. Mi riferisco a dei sacerdoti della Città del Vaticano” (nomina il Consiglio per gli affari pubblici, da lui citato anche in precedenti suoi interventi), ma cosa gli può importare di perseguire me, mettendoci poi sotto accusa il Vaticano che certamente si è fatto sentire per mettere la parola fine a questa sequela di episodi con tombe, dichiarazioni, sospetti , piste.. e così si è arrivato a Pignatone”.
La verità per Accetti è che “non si sia adeguatamente indagato. Questo è evidente”. E, a questo proposito, entra in un altro caso emblematico legato alla vicenda ma meno noto: la morte di Paola Diener, fulminata nella vasca da bagno, il 5 ottobre 1983. La giovane, secondo Accetti. sarebbe finita nel giro di giochi e ricatti nell’ambito della guerra in corso tra fazioni in Vaticano per contrastare la linea anticomunista di papa Woytjla.
Riflettendo sulla serietà delle indagini, cita il dettaglio della presenza di un cagnolino nell’abitazione della sventurata. Un dettaglio che solo la tenacia del giornalista investigativo Fabrizio Peronaci ha potuto confermare, senza che nessuno degli inquirenti se ne fosse mai accorto o facesse nulla per verificare.
Solleva un confronto sul modo con cui si è operato per la vicenda del mostro di Firenze, che tenne per anni l’Italia con il fiato sospeso. “Li, a differenza del caso Orlandi, la capacità di fuoco delle indagini fu davvero intensa con una attenzione a ogni micro dettaglio, non lasciando fuori nemmeno un capello. Analisi, contro analisi, confronti mentre nel caso Orlandi non esiste una intercettazione ambientale”.
Insomma un quadro troppo debole portato avanti da quella che definisce “una filiera di gente miserabile a fronte di una realtà presente ovunque come la Città del Vaticano che orientava le elezioni ed è potente anche oggi che non c è la Dc”, e precisa: “Non puoi contrastare una longa mano del genere.. che comunque rispetto”.
E rincara: “I miserabili hanno fatto la loro parte. Non mi si venga a dire che questa è la realtà”.
Accetti non ha molte speranze: “Il giorno che nascerà un piccolo gruppo di investigatori capace di creare lo scandalo potrebbe riaprirsi il caso. Ma non accadrà mai”.
In tal senso ricorda la figura di Nicola Cavaliere (l’ex prefetto, capo della sezione omicidi della Questura di Roma ai tempi del sequestro). “Lui indagando sapeva che il mio profilo si legava al telefonista. Aveva le idee chiare e concretezza.
E conclude: “ringrazio che non ci uccidano. Sono una massa di vigliacchi”.
Ma perché hanno uccisa Emanuela?: Uccisa per tacitazione testimoniale” è il lapidario commento stile vecchia Stasi, dopo aver avuto toni calmi e riflessivi per tutta l’intervista.
Certo la vicenda di Accetti è emblematica ma è evidente che molte delle sue dichiarazioni non pare siano state oggetto di confronti e chiarimenti. Non sappiamo certo se quello che ha espresso nel suo memoriale sia verità e anche su questo fronte non sono mancate forti critiche e perplessità manifestate in particolare da Pietro Orlandi ma sicuramente rappresentano un importante testimonianza di fatto ignorata.
”C’erano dei sacerdoti della Città del Vaticano. Loro sanno che potrei fare i nomi”. È una frase di Accetti sibillina che documenta come, a distanza di 37anni dal rapimento, il gioco sui responsabili, sempre che siano ancora in vita, resti aperto e oggetto di possibili o impossibili ricatti. Un caso in cui a livello mediatico hanno vinto i depistaggi tesi a mantenere una generale confusione e incomprensione della vicenda che ha attraversato uno dei periodi più torbidi della nostra Repubblica nel mezzo di uno scontro epocale tra Est e Ovest.
Il polverone del “porto delle nebbie” ha fatto, anche in questo caso di rilievo internazionale, un ottimo lavoro.
(intervista telefonica del 2 maggio 2020)