Il 9 dicembre non è solo la giornata dei Forconi. È anche quella in cui, per l’ennesima volta, i rifugiati dell’ex Moi di via Giordano Bruno manifestano davanti al Comune di Torino per il diritto alla casa. Sono arrivati alle 5 del pomeriggio, accompagnati dai militanti dei centri sociali, in una piazza Palazzo di Città ancora scossa dagli scontri avvenuti circa un’ora prima tra dimostranti dei Forconi e forze dell’ordine. Tornati in presidio per la quinta volta (l’ultima risale solo allo scorso 25 novembre) sono tanti, circa 500, e chiedono a gran voce una soluzione per un’esistenza sempre più insostenibile.
«Torino deve garantire i diritti a tutti, non solo a una classe privilegiata di persone – tuona un attivista da un megafono – Invece sta diventando una città sempre più blindata. Protestiamo contro una classe politica che ormai non rappresenta più nessuno e per garantire una voce decente ai rifugiati». Nel frattempo, la rabbia sui volti di questi ultimi è tangibile, mentre intonano slogan ed esibiscono striscioni. Tutti hanno alle spalle storie diverse, spesso un terribile viaggio della speranza attraverso l’Africa e il Mediterraneo e si trascorrono ora la propria esistenza nel modo più precario: ammassati in stanze comuni, con poco cibo e quasi nessuna prospettiva per il futuro.
«Sono ormai sette mesi che viviamo ammassati come animali, senza nessuna possibilità di trovare un lavoro dal momento che non abbiamo la residenza» dice John, nigeriano 25enne reduce da un lungo viaggio della speranza e tra i primi occupanti delle palazzine dell’ex Villaggio Olimpico. La sua è la voce di chi è allo stremo delle forze. «Siamo esausti non sappiamo più cos’è la dignità. Dateci una casa».
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