L’antroponomastica li differenzia con una semplice sillaba: “ni”. Ma tra Paolo Marchioni, sindaco di Omegna e Silvia Marchionini, sindaco di Verbania, la distanza politica nell’imminenza del referendum nel Vco tra “divorzio” dal Piemonte o “matrimonio” con la Lombardia, è abissale.
Più diversi non potrebbero essere, tralasciando la non secondaria questione di genere: lui è leghista, lei dem e questo spiega in toto, senza dover aggiungere altro, come la vedano su migranti, Europa, politiche sociali ed economiche, eccetera, eccetera, eccetera. Ma sul voto referendario è accaduto l’incredibile: quella sillaba si è trasformata come per incanto, non più una semplice appendice anagrafica rispetto a Marchioni, ma la sua l’espressione più compiuta e consapevole dell’equilibrismo dialettico raggiunto da un leghista della prima ora.
A differenza di Marchionini, infatti, che ha pubblicamente manifestato il suo fermo e convinto “no” sulla scheda, in un’intervista sulle pagine piemontesi de La Repubblica il sindaco di Omegna ha contrapposto opposto la classica tendenza al pattinaggio sulle opinioni, tipico di quei “lor signori”, come scriveva il mitico Fortebraccio, che alla vigilia delle elezioni, dopo una vita spesa nel sottobosco della politica con una ben individuabile casacca, dichiaravano con santa ingenuità: “il voto è segreto”.
Marchioni si è persino spinto oltre le colonne di Salvinmen, fino a teorizzare che il suo ruolo istituzionale gli impedisce di esprimersi. Insomma tra il “sì” e il “no” ha optato per il più comodo e più prudente “ni”. Non c’è da stupirsi: anche il celodurismo leghista si deve adeguare ai feromoni governativi.