La Procura di Torino ha formalmente concluso il filone di inchiesta sulla ‘ndrangheta in Piemonte che riguarda l’ex assessore regionale Roberto Rosso arrestato il 20 dicembre con l’accusa di voto di scambio politico-mafioso. L’atto, che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio, è stato notificato ai difensori degli undici indagati, a vario titolo e per episodi diversi.
Intanto il legale di Rosso, ha chiesto al Tribunale del Riesame la scarcerazione del suo assistito o quantomeno l’applicazione di una misura cautelare “meno restrittiva” come gli arresti domiciliari. L’avvocato Giorgio Piazzese, ha ribadito come Rosso sia totalmente estraneo alla criminalità organizzata e che i soldi versati all’intermediaria Enza Colavito, vicina a Onofrio Garcea e Francesco Viterbo, figure di spicco della ‘ndrangheta di Carmagnola, fossero solo un contributo per l’organizzazione degli eventi connessi alla campagna elettorale del 2019, al termine della quale Rosso risulterà fra gli eletti.
La difesa ha sottolineato che l’assessore si è dimesso e che, di conseguenza, non ci sono più esigenze cautelari che ne giustifichino la permanenza in carcere.
Alla richiesta di scarcerazione si è opposta la Procura di Torino. In particolare, secondo il pubblico ministero Paolo Toso i 7900 euro versati da Rosso per ottenere un “pacchetto” di voti sarebbero gli unici soldi non rendicontati dall’ex assessore.
Per la Procura inoltre Roberto Rosso non avrebbe detto la verità ed in qualche modo “ricattabile”. Così il pm ha chiesto Tribunale del riesame di respingere la richiesta di scarcerazione. Domani la decisione.