di Andrea Doi
«Mi vengono meglio gli assestamenti di Bilancio che le torte». Ha commentato così la sindaca di Torino Chiara Appendino su Instagram, a corredo della fotografia della torta preparata per il primo compleanno alla figlia Sara, rivendicando – in un momento così importante – la propria capacità nella gestione delle questioni finanziarie dell’Ente che dirige.
Ci siamo soffermati più volte negli ultimi mesi sulle questioni relative ai conti della Città, alle polemiche che hanno segnato il passaggio da una amministrazione all’altra e alle contraddizioni della narrazione grillina, dall’approvazione degli assestamenti di bilancio fino agli ultimi atti dell’anno.
Nel nostro articolo del 31 dicembre 2016, inoltre, abbiamo mostrato le nubi che si sono addensate attorno alle ultime delibere dell’anno: il ritorno al finanziamento della cultura con risorse straordinarie, il via libera ad operazioni redditizie ma a lungo avversate come l’ex Westinghouse, il finanziamento per un milione di euro della Fondazione per la Cultura e – soprattutto – il parziale finanziamento a Gtt e Infrato.
Quest’ultima questione è la più spinosa ed è stata oggetto degli attacchi di Appendino alla giunta precedente ed è il cuore di quella vicenda disallineamenti che ha tenuto banco nei mesi scorsi. Alla prova dei fatti, e dopo tanto clamore, la giunta Appendino ha ripetuto le medesime scelte già operate dalla giunta Fassino.
Infrato, infatti, è stata finanziata parzialmente. Dei 21 milioni annui sono stati reperiti “soltanto” 939mila euro per il “Concorso per interventi di potenziamento delle infrastrutture e della rete tranviaria” e 5,8 milioni per il “Concorso alle spese di costruzione tratta Collegno Porta Nuova Lingotto della Metropolitana”.
Nessuna traccia, invece, del finanziamento a Gtt per l’acquisto delle motrici del 4, la metropolitana di superficie che collega Falchera con Mirafiori. In questo caso è probabilmente in atto una rinegoziazione dei tassi di un mutuo acceso più di 15 anni fa in un contesto finanziario completamente diverso da quello attuale.
Questi numeri, queste scelte, stridono con le dichiarazioni di Appendino nella conferenza stampa di fine anno: in quell’occasione più volte aveva affermato la necessità di finanziare la metropolitana con risorse certe. Quando dalla enunciazione dei principi si passa alla prova dei fatti, però, ciò non avviene: dapprima vengono approvati i bilanci Gtt e Infrato 2015 disallineati e poi, anziché rimediale, si concorre ad aumentare i disallineamenti stessi.
Al di là di questa vicenda particolare sembra mancare una strategia più ampia capace di proseguire nell’attività di risanamento dell’Ente, nella riduzione del debito e nel miglioramento dei suoi fondamentali.
Durante i primi sei mesi di governo, la Giunta pentastellata ha opposto ad ogni critica la retorica delle scelte obbligate, dalla carenza di risorse e dalla presenza di fantomatici buchi . Ha attinto, insomma, a quel “paradigma vittimario” che trova sostanza in formule quali “siamo contrari, ma siamo costretti ad approvare”, “approviamo la variante, ma speriamo che il Tar la blocchi”, etc.
Mentre si sta chiudendo questa fase sembra affacciarsene una nuova: quella dello statalismo senza risorse. Per uscire dal semestre nero e dalle accuse di continuità con la Giunta precedente, Appendino e i suoi rilanciano le promesse fatte in campagna elettorale: a partire dal 2017 nuove assunzioni tra amministrativi e personale scolastico, nessun dividendo dalle società partecipate, una forte contrazione degli oneri di urbanizzazione, investimento diretto per la riqualificazione del patrimonio e contemporanea riduzione del debito. Un programma keynesiano, insomma, che per essere realizzato dovrebbe poter contare su una larga dotazione di risorse pubbliche, che sembrano però non esserci.
L’applicazione di una strategia di questo tipo sarebbe certamente in controtendenza con quanto fatto dalla Giunta precedente, che ha ritenuto strategico fin da subito il rapporto con il privato. Se ciò è avvenuto timidamente nei servizi (la sola esternalizzazione di una decina di nidi d’infanzia), il ricorso a capitali privati è stato ricercato nella gestione delle società partecipate, centinaia di milioni di euro sono stati ricavati dalla cessione di quote di società a partecipazione pubblica, nella gestione del patrimonio attraverso la cessione di numerosi immobili e nelle scelte urbanistiche, che hanno consentito di riqualificare ampie aree dismesse e contemporaneamente di generare le risorse necessarie alla tenuta del sistema.
Lo sforzo in direzione del risanamento non si è fermato al solo rapporto con il privato, ma è proseguito all’interno della macchina comunale con drastiche riduzioni del personale che hanno diminuito il numero di dipendenti di più di duemila unità.
Tutte queste scelte hanno contribuito a minare il consenso dell’ex sindaco Fassino che, in nome dell’efficienza e del risanamento, non ha saputo (o potuto?) “coccolare” come i suoi predecessori le grandi sacche di consenso di un sistema di diretta emanazione politica. L’aprirsi al mercato ha sì contribuito a risanare l’Ente in un periodo di crisi e a non far ripiegare la Città su se stessa, ma ha anche eroso quel terreno di certezze su cui il centrosinistra torinese ha prosperato per anni.
Appendino in campagna elettorale è stata molto abile a inserirsi in questa contraddizione e a proporre una netta inversione di rotta, che ha fatto sentire a casa sia coloro che mai nel centro-sinistra si sono riconosciuti, sia coloro che non hanno digerito la svolta “privatista” di Fassino.
Ora deve dimostrare che quelle della campagna elettorale non erano solo promesse e che è davvero possibile chiudere il bilancio della Città di Torino senza fare alcuna “scelta scomoda” come quelle del suo “semestre nero”.