La carta d’identità dell’elettore delle primarie? In là con gli anni, over 65, mediamente colto (alta è la percentuale di persone con la laurea e diploma superiore), fedele al centrosinistra e veterano delle primarie. Questo l’identikit di chi si è recato alle primarie Partito Democratico lo scorso 3 marzo.
Il ritratto è venuto fuori dall’inchiesta realizzata da Candidate & leader selection (Cls), uno standing group, operante nell’ambito della società italiana di scienza politica, impegnato nella ricerca sulla vita interna dei partiti con particolare attenzione alle procedure di selezione delle candidature e della leadership di partito. L’indagine ha visto il coinvolgimento anche dell’Osservatorio di comunicazione pubblica e politica dell’Università di Torino con l’obiettivo di offrire analisi e riflessioni sulle elezioni primarie in Italia, accogliendo diversi orientamenti e approcci, e restando saldamente ancorati a due principi irrinunciabili: l’impiego di conoscenze di tipo empirico e il ricorso a una terminologia appropriata.
La rilevazione nazionale è stata condotta il 3 marzo 2019 da 138 intervistatori (metodo interviste: face to face). Il campione è composto da 2509 casi ed è stato disegnato in base alla distribuzione regionale dei votanti alle elezioni primarie per l’elezione del segretario del PD del 2017.
L’analisi parte dal dato totale dei partecipanti alle primarie: dagli 89.379 votanti del 2017 passiamo ai 81.786 del 2019. I più giovani e più numerosi sono stati gli elettori della mozione Martina (con il 19%), i più anziani (il 41%) hanno votato per la mozione Zingaretti.
Il voto del 3 marzo è stato un voto prevalentemente maschile (60 per cento contro il 40) e in gran parte di fedeli elettori del centrosinistra, il 93% aveva già partecipato alle primarie di coalizione o di partito. L’85% degli intervistati ha garantito futura “fedeltà” di voto al Pd, ha assicurato cioè che in caso di sconfitta del candidato votato alle primarie, rivolterebbe comunque il partito democratico. I votanti del segretario neoeletto Zingaretti sono per lo più i pensionati (40%), seguono i dipendenti pubblici (17%), i dipendenti privati (16%), i lavoratori autonomi (13%) , studenti (7%) e con il 3% casalinghe e disoccupati.
Ma ci sono anche elementi di novità, tra i votanti il 72% non era iscritto al Pd, il 28% si. Un dato che fa bene sperare in un riavvicinamento anche di chi, negli ultimi anni, si era allontanato dalla vita di partito e che è tornata a votare per motivazioni ben precise: il 33% ha votato il proprio candidato “Perché incarnava gli ideali del PD”; il 27% “perché rappresentava i suoi valori politici”; il 25% “per le caratteristiche personali del candidato” e il 13% “perché desidera qualcuno che vinca le prossime elezioni politiche”.
L’elettore delle primarie, sulla questione immigrazione, pensa che potremmo accogliere facilmente ancora più immigrati di quanto avviene oggi (oltre il 60%), pensa che l’Unione europea sia un bene (oltre il 90%) e si dice disposto ad estendere i servizi anche a costo di aumentare le tasse (oltre il 60%).
Spiega Antonella Seddone, Università di Torino che ha collaborato alla ricerca: «L’elezione del segretario del Partito Democratico si è conclusa con una netta vittoria di Zingaretti. Il risultato non è stato inaspettato. L’esito era (più o meno) prevedibile, si trattava (come sempre) di comprendere quali percentuali avrebbero garantito al nuovo leader di avere mano libera nella riorganizzazione del partito. Invece, ha sorpreso la risposta partecipativa. I numeri dei selettori che si sono recati ai seggi sono andati oltre le aspettative degli organizzatori come pure di commentatori e osservatori. Il dato rappresenta un segnale positivo per il partito. Una base c’è e chiede discontinuità: i pop-corn hanno stufato. Noi ci siamo. E voi?».
«I dati sono interessanti perché segnalano che effettivamente nel 2019 è emerso qualcosa di diverso rispetto alle motivazioni che hanno sostenuto la scelta del segretario – continua Antonella Seddone – In generale, nel 2019 i selettori sembrano essere molto più focalizzati sul partito e sulla necessità di trovare una casa politica a cui affidare la difesa dei principi fondativi di una sinistra costantemente sfidati dal governo a trazione leghista. Ora, a prescindere dalle profonde fratture che hanno indebolito un partito già fragile, occorre comprendere quale sarà effettivamente la strategia di Zingaretti. Certo è che qualcosa è cambiato».