di Vittorino Merinas
Stabilizzatesi nella Terra Promessa le varie tribù, la donna diventò ad un tempo domina e prigioniera della casa, luogo non consono alla dignità del maschio dedito al lavoro e alla vita pubblica. Obliata la parità originaria, l’uomo pregava dicendo: “Benedetto Colui che non mi ha fatto pagano, donna e bifolco”. La Mishnah, un’importante raccolta di antiche discussioni rabbiniche sulla Legge, a sua volta recitava: ”Il mondo non può esistere senza maschi e senza femmine, ma felice colui i cui figli sono maschi e guai a colui i cui figli sono femmine”. La loro educazione era limitata alle incombenze domestiche. Non tenute ad imparare la Torah, la Legge, giacché i Rabbini ritenevano tempo perso insegnarla loro, dovevano, però, osservarla rigorosamente. Neppure erano tenute a frequentare le Sinagoghe, ma, se presenti, dovevano sistemarsi in seconda fila.
In ogni stadio della sua vita, la donna era sempre soggetta ad un maschio, passando dal padre al marito al quale doveva essere consegnata in stato di verginità comprovata dalle tracce di sangue sul lenzuolo nuziale mostrato, a testimonianza, agli amici dello sposo. Se in tale condizione non fosse stata, l’ingannato marito poteva ripudiarla o anche richiederne la lapidazione come adultera.
Tenendo presente la situazione complessiva, è innegabile che la donna ebraica, nella società patriarcale precedente la presenza di Gesù, non fosse molto più d’una serva data all’uomo quasi per compensarlo della costola sottrattagli, come conferma l’elenco di coloro che godevano del diritto-dovere di riposare il sabato, giorno dedicato a Dio. In tal giorno, prescriveva il Deuteronomio (5,12-15) “non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te”. Sola assente la moglie!
Sebbene la storia ebraica sia punteggiata di donne che, mettendo a frutto la loro genialità nel bene e nel male, furono di essa protagoniste in momenti determinanti, nulla cambiò nella realtà quotidiana della donna del popolo, la cui libertà e creatività erano del tutto soffocate dalla rigorosa legislazione attribuita alla figura, oscillante tra mito e realtà, di Mosè. Il tempo per riaffermare la pari dignità dell’essere umano nella sua dualità di genere era ancora lontano. Yeshùa, il falegname di Nazareth, destinato a cambiare il falsato presente tornando alle origini, non era ancora all’orizzonte.
La sua comparsa aprì nel mondo ebraico una parentesi innegabilmente rivoluzionaria in rapporto alla grave obsolescenza in cui era precipitata la donna, condannata alla casa e al lavoro, sempre soggetta ad un maschio e sua serva quando sposa. Convinto messaggero dell’approssimarsi del regno di quel Dio che aveva creato l’essere umano a sua immagine, non poteva consentire lo stato di decadimento cui era precipitato il progetto divino, con la donna ormai considerata genio del male, socialmente occultata, ridotta a braccia da lavoro, genitrice e nutrice di figli, domestica d’un marito per lo più impostole in giovane età cui doveva la stessa sottomissione e lo stesso rispetto già dovuti al padre. Una realtà del tutto estranea e contraria al pensiero e al comportamento dell’uomo di Nazareth, come dimostrano i suoi rapporti con le donne, occasionali o amicali e duraturi che fossero, come guaritore dei loro mali o compartecipe delle loro pene. Contrariamente alle consuetudini del tempo, egli si intrattiene e dialoga a lungo con la samaritana la cui fede non collima con la tradizione ebraica; richiama alla vita al figlio unico della vedova di Nain; guarisce una donna così gibbosa da non poter alzare gli occhi al cielo; salva dalla lapidazione l’adultera invitandola a non peccare più; intrattiene rapporti famigliari con le sorelle Marta e Maria, la prima dedita alla casa secondo la tradizione, la seconda, rannicchiata ai suoi piedi avvinta dalle sue parole. Rapporti nel loro complesso tali da indurre a ritenere che, grazie alla loro ricca sensibilità ed intuitività, si sentisse a suo agio e più compreso dalle donne che non dagli uomini. Prova ne sia che i seguaci maschi dovette cercarseli, mentre le donne lo seguirono d’istinto, attirate dall’eccezionalità del personaggio e del suo messaggio. E mentre i primi l’abbandoneranno alla sua sorte, le donne saranno al suo fianco sulla via del calvario e permarranno ferme sotto la croce non timorose di manifestarsi sue seguaci, l’accompagneranno al luogo della sepoltura e vi torneranno per accudirne il corpo martoriato, scoprendo, così, la tomba vuota e diventando le messaggere della sua resurrezione. (2, continua)