Vedi anche:
– Prima parte dell’inchiesta (introduzione)
– Seconda parte dell’inchiesta: “Un passo indietro: le acciaierie Beltrame”
– Terza parte dell’inchiesta: “Quegli allarmi inascoltati su uranio e amianto“
Nell’ultimo articolo dell’inchiesta abbiamo passato in rassegna i rischi per salute e ambiente che diversi studi hanno messo in luce negli anni in cui il Tav era ancora un progetto sulla carta.
Ora, com’è noto, i lavori sono stati avviati e, seppur a rilento, proseguono incuranti degli allarmi che non cessano di insistere sulle ricadute di lungo periodo che l’opera causerà sul territorio.
Ancora una volta, a fornire dati poco rassicuranti non sono solo mezzi di controinformazione o militanti No Tav, ma anche enti ai quali difficilmente può essere indirizzata l’accusa di parteggiare per il fronte del No all’opera.
È il caso, ad esempio, dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente del Piemonte, l’Arpa, e della ditta italo-francese Ltf, che sono incaricate di eseguire un monitoraggio continuo della qualità dell’aria a Chiomonte, il comune nel quale sorge il cantiere per il tunnel geognostico del treno.
Arpa e Ltf lavorano in parallelo per effettuare rilevazioni periodiche della quantità di inquinanti (e in particolare di polveri sottili) presenti nella zona di Chiomonte, grazie al posizionamento di appositi macchinari all’interno del cortile di una scuola del comune valsusino.
In un documento consultabile online vengono illustrati i risultati dei campionamenti effettuati giornalmente dall’Arpa tra marzo e aprile del 2013: gli sforamenti registrati riguardano tutti la concentrazione di Particolato Fine noto come PM10, polveri sottili responsabili di diverse patologie.
Analoghi risultati vengono riscontrati anche da parte di Ltf, su un periodo però più lungo (da marzo a settembre 2013): in questo caso gli sforamenti di PM10 sono 88, decisamente sopra la soglia consentita.
Nel commentare questi risultati, però, il direttore dell’Arpa Piemonte sminuì la faccenda, dichiarando che la situazione non aveva nulla di allarmante, poiché la polverosità dell’aria risentiva anche dell’incessante viavai di mezzi all’interno del cantiere, e che comunque gli sforamenti erano in numero contenuto. Eppure, sempre guardando ai dati di Ltf, emerge non solo che il superamento dei limiti di legge è avvenuto diverse volte, ma anche che i valori registrati hanno subìto un aumento evidente a partire dall’apertura del cantiere di Chiomonte.
Insomma, se opportunamente letti e confrontati, i dati messi a disposizione dalle ditte e dagli enti che dovrebbero farsi carico di monitorare l’avanzamento dei lavori e rassicurare sulla loro non-nocività hanno esattamente l’effetto opposto.
Se questo non bastasse, a smentire il tranquillizzante quadro dato dal direttore dell’Arpa ci si sono messi anche i sindacati di polizia, che a inizio della scorsa estate sono insorti a difesa dei propri agenti, denunciando le condizioni di lavoro vigenti nel cantiere e la cattiva qualità dell’aria che sono costretti a respirare ogni giorno.
Sembra però che la scarsa disponibilità a mettere in discussione ciò che accade all’interno del sito di Chiomonte e le sue ricadute su una valle intera non riguardino solo la qualità dell’aria. Diversi altri allarmi rispetto allo svolgimento dei lavori e ai rischi per la sicurezza sono rimasti in questi anni inascoltati, smentiti o messi a tacere. In un caso, poi, la denuncia dei rischi dell’opera ha avuto un paradossale effetto boomerang. È quanto accaduto a luglio del 2013 a un gruppo di ambientalisti che pochi mesi prima aveva denunciato pubblicamente alle autorità competenti i rischi di frana dei terreni attorno al cantiere a causa della mancata messa in sicurezza degli stessi. Non solo il loro allarme è stato smentito, ma nei confronti di due di loro la Procura torinese decise di aprire un fascicolo d’indagine per procurato allarme.
Insomma, se davvero nel cantiere di Chiomonte tutto procede per il meglio, perché tanta premura nel negare qualsivoglia problema o messa in allerta sui rischi connessi all’opera? A quanto pare le risposte date fin qui dai responsabili e dai sostenitori del Tav non sembrano essere state abbastanza convincenti se dopo più di vent’anni migliaia di valligiani (e non solo) continuano a non rassegnarsi all’idea che un giorno la Torino-Lione possa tagliare la loro terra e si battono quotidianamente per fermarne l’avanzamento.