A chi si deve il consenso che ancora i Cinquestelle continuano ad ottenere dopo feroci polemiche, sanguinosi distacchi dell’area movimentista e diverse espulsioni di parlamentari e dopo aver perso oltre sei milioni di voti?
Nel pieno della bagarre in corso nel movimento Giuseppe Conte pare l’unico che ha consentito ai Cinquestelle di mantenere un ‘identità partitica, assicurando la stabilizzazione del consenso nonostante distacchi, scissioni e contrasti.
Piaccia o meno Conte è l’unico riconosciuto punto fermo che ha consentito ai Cinquestelle di mantenere un’identità partitica assicurando il mancato sgretolamento di quella macchina che solo pochi anni fa aveva ottenuto un successo plebiscitario. Consenso avallato da un riconoscimento popolare che ha consentito di superare screzi, distacchi, frazioni, scissioni, polemiche. Si stima che abbia almeno il 75% dei consensi dei simpatizzanti del movimento.
Tra no vax, pro Italia Exit e nostalgici del no euro, il leader pentastellato, nonostante sia presentato dagli opinionisti (anche su la 7) come uno che non ha mai avuto un riscontro elettorale, è di fatto l’unico in grado di assicurare e godere di un forte e sincero appoggio popolare. Un dato che ha permesso ai pentastellati, dopo tempeste e stravolgimenti, di poter, anche nelle ultime amministrative, attestarsi intorno al 15%.
Per questo il duro scontro in atto tra Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio(che ha presentato le sue dimissioni irrevocabili da presidente del comitato di garanzia), oltre che riguardare sul piano personale due delle figure più importanti del movimento grillino, è espressione di due diversi approcci politici. Una dimensione politica con cui la melassa pentastellata ha dovuto e continua a fare i conti.
Ed è proprio l’ex premier, nato a Volturara Appula (Foggia), a dichiarare che “lo scontro non riguarda tanto carte e regolamenti ma visioni politiche diverse”.
Una polemica che non può non tenere conto del fattore popolarità in termini di consenso e affidabilità politica.
Quello che viene definito dai suoi detrattori come “l’avvocato pugliese diventato di colpo famoso” è di fatto l’unico in grado di assicurare al movimento , sempre più partito, un consenso superiore al 10 %.
L’ex premier non pare particolarmente intimorito da eventuali ulteriori scissioni in quanto è ben conscio del consenso che continua a riscontrare e mantenere la sua persona e la sua linea che colloca i pentastellati fermamente nell’area progressista. Su questo è proprio Conte a rivendicare orgogliosamente un ruolo trainante, ribadendo la piena fiducia reciproca con il leader del Pd Enrico Letta e il totale distacco dalle forze conservatrici.
Certo Draghi, anche lui mai votato a livello popolare, assicura solidità e credibilità nei confronti dei mercati europei e appoggio politico trasversale. Tuttavia sul piano schiettamente popolare e valoriale Conte pare uno dei pochi in grado di poter dare un contributo significativo al progetto di centrosinistra avanzato che faccia da stimolo anche al Pd, in un confronto che risulta sempre meno conflittuale, specie se rapportato con gli atavici contrasti di non molto tempo fa.
Un rapporto che oggi a sinistra non pare avere molte alternative. Tuttavia pare che i dem, invece di privilegiare il dialogo con l’avvocato nato nel 1964 in provincia di Foggia, siano più attenti a cogliere i richiami lanciati dalla sirena Mara Carfagna e da quegli azzurri che non intendono finire dalle file sovraniste di Lega e Fratelli d’Italia. Un discorso che tocca più il discorso Europa e relativi riferimenti internazionali rispetto alfatto di ritrovarsi a destra. Ovvero in un centrodestra mai così sgangherato come dopo le vicissitudini che han portato alla riconferma di Mattarella al Colle.
Sul fronte Di Maio l’idea di una possibile nuova formazione che possa prendere forza nei ventilati spazi aperti al centro del panorama politico, con influssi mastelliani e radicali, risulta al momento alquanto fantascientifica, anche se i democristiani in Italia e soprattutto in Parlamento continuano a contare e non poco. Di Maio, per quanto abile, non pare avere quel consenso che certamente può vantare Conte, indipendentemente dal ruolo assunto.
Il contrasto sollevato dal ministro degli Esteri, oltre a fattori personali , va quindi visto in fondo come un ennesimo ritorno delle dinamiche politiche in cui uno (Conte) si riconosce pienamente nell’area progressista, mentre l’altro punta e privilegia nuovi possibili equilibri al centro.
Un quadro polemico e conflittuale (che non sembra particolarmente appassionare nemmeno la delusa base pentastellata) in cui l’unica cosa è che quel movimento che qualcuno ha sarcasticamente definito “cinquestalle” ha imboccato con Giuseppi una chiara e riconosciuta direzione politica che difficilmente l’area movimentista potrà rimettere in discussione, pur cercando di annullare statuti e cariche di una realtà ormai partitica che pare molto distante da quelle origini in cui Beppe Grillo lanciò il suo tsunami. Un’onda che, oltre ad una valanga di voti , avrebbe dovuto rappresentare un’alternativa di sistema a suon di vaffa e di no euro, con strizzate di occhi verso la Cina. Una svolta che avrebbe dovuto aprire quel Parlamento pieno di zombie come una scatoletta di tonno.
L’unica costante rispetto a quel passato, evitando di ricordare i termini con cui veniva apostrofato anche il presidente Mattarella, è il permanere di un’area di consenso che, per quanto ridimensionata, risulta più ampia di quella che tradizionalmente simpatizza per il centrosinistra.
Insomma un consenso, ancora alquanto trasversale, che va oltre quei confini in cui si ritrovano tradizionalmente gli aficionados di un Pd che ha trovato nuova linfa nel fermo appoggio a Draghi e nel suo sposare senza tentennamenti le linee guida adottate per contrastare la pandemia.
Una cosa è certa, non saranno le disposizioni di un Tribunale sulla ratifica di uno statuto a distruggere l’esperienza politica di Conte che non a caso ha commentato: “La mia leadership non dipende dalle carte bollate”, ricordando come la sua leadership nel Movimento si basi sulla profonda condivisione di principi e valori. Un legame politico prima che giuridico.
————–
Alcuni commenti apparsi sui social sullo scontro Di Maio-Conte:
“ Si incarna nella figura della mezza tacca di statista, le regole che valgono per gli altri, non si applicano per il Winston Churchill de noantri”.
“Giuseppe Conte è affidabile, competente, lungimirante e leale,per questo è avversato dai politici truffaldini e dalla stampa lecchina”.
“Non mi chiedo tanto come chi ha votato 5 stelle possa continuare anche oggi a sostenerli, dopo che sono diventati l’opposto di ciò con cui si erano presentati, ma sulla base di cosa li abbia votati nel 2018”
“Si sono bruciati tutti e da soli. È venuta fuori la vera anima del M5stalle. Recuperare??? Mah ho i miei dubbi”.
”Il Movimento non esiste più. Tutti i buoni propositi sono stati traditi. Vi è rimasto solo il vaffa…ma quello lo stato adoperando tra di voi”
“Era più avvincente Cascina Vianello. Più che Andreotti giggino sembra Tano Cariddi ed è evidente che gli abbiano già promesso un ruolo nella nuova democrazia gristiana”.
“Conte è una eccellenza, l’unico che ha titoli per poter portare avanti un cambiamento del movimento”
“Belloni l’hanno brucia quelli che l’hanno candidata, trascurando che, tranne PUTIN, nessuno è mai passato direttamente dai servizi segreti alla massima carica dello Stato”.
“Conte goditi il successo finché dura, dalla prossima legislatura sarai solo un numerino.. (chiaramente ti salvaguarderai la tua poltrona)”
“Piccoli Andreotti crescono. Sentiremo molto parlare di Luigino omaggiato da De Benedetti. Povero Conte”.
“Di Maio is the new Mastella, e tra i due preferisco l’originale”
“Conte ha dato speranza a tanti delusi dalla classe dirigente del movimento, compreso il Sig. Di Maio, attaccatissimo alla poltrona. Nel più bello del percorso del Sig. Conte arriva il morso della serpe, che con un ricorso blocca tutto”.