2.3 C
Torino
martedì, 3 Dicembre 2024

Coppolella (Nursind): “Gli infermieri hanno dovuto lavorare anche se positivi al Covid19”

Più letti

Nuova Società - sponsor
Redazione
Redazione
Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

L’emergenza sanitaria ha messo a dura prova la tenuta del nostro sistema sanitario. In Piemonte il quadro è stato drammatico: migliaia di contagiati, centinaia di decessi e personale sanitario costretto a turni massacranti. Abbiamo sentito Francesco Coppolella, segretario regionale per il Piemonte del Nursind il sindacato delle Professioni Infermieristiche per fare un primo bilancio.

Dall’inizio dell’emergenza legata al COVID 19 il personale infermieristico è stato in prima linea e siete stati definiti “eroi”. In concreto ad oggi è cambiata la condizione lavorativa e sociale degli infermieri?
Gli infermieri sono stati sacrificati per legge. A loro è stata abolita la quarantena preventiva dal decreto del 7 marzo pertanto hanno dovuto continuare a lavorare in attesa di un tampone che non è mai arrivato o è arrivato tardivamente. Per questo motivo molti infermieri che non presentavano sintomi evidenti hanno continuato a lavorare anche se positivi al virus e senza o inadeguati dispositivi di protezione individuale, trasformando gli ospedali nei più grandi focolai di contagio. Non è un caso che tra gli operatori contagiati il ministero ella sanità indica il 45% tra gli infermieri. Abbiamo contato 40 morti in italia, migliaia di ammalati, molti di loro senza una adeguata sorveglianza sanitaria e centinaia di ricoverati in Piemonte. Molti di noi hanno dovuto vivere lontani dalle famiglie la parola eroi , come detto più volte, non ci piace perché abbiamo continuato a fare quello che facevamo anche prima. Le condizioni di lavoro non erano ottimali prima e sono diventate fortemente critiche in questo periodo di emergenza dove tutti sembrano essersi accorti dell’importante ruolo che ricopriamo nella sanità, in ospedale e sul territorio. Oggi restano forti cicatrici con la speranza che tutto questo possa essere servito almeno a cambiare operativamente e socialmente, consapevoli che in italia si fa in fretta a dimenticare.

Quali sono state le vostre istanze alla Regione Piemonte e al Governo?
Noi chiediamo innanzitutto di poter lavorare in sicurezza. La tutela della salute è la cosa più importante. Chiediamo di rafforzare in maniera importante le piante organiche nelle corsie degli ospedali, sul territorio e a domicilio. Chiediamo che vanga riconosciuto e valorizzato in maniera strutturale il ruolo dell’infermiere. Abbiamo uno stipendio tra i più bassi in europa e indennità legate al disagio ferme al secolo scorso. Chiediamo un area di contrattazione autonoma dedicata ad una categoria che rappresenta il 40% del personale del sistema sanitari nazionale e il 60 % del solo personale sanitario. Un bonus e un incentivo inoltre sia da parte del governo che della regione che noi preferiamo chiamare risarcimento, sarebbe un segnale di rispetto anche se non saneranno le nostre ferite.

E’ in grado di stimare il numero degli infermieri che sono stati contagiati e se vi siano state carenze di organizzazione da parte delle strutture?
Non abbiamo il dato perchè molte aziende non lo hanno fornito e tanto meno l’unità di crisi regionale. La percezione è che parliamo di un dato che supera abbondantemente il migiaio. Sono state molte le criticità. Una incredibile sottovalutazione del fenomeno nelle fasi iniziali che ci ha visto sempre ricorrere e mai prevenire è un dato di fatto. L’approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuali, la mancata esecuzione dei tamponi sono state due forti criticità. Altre situazioni che hanno influito negativamente dal punto di vista organizzativo sono state le difficoltà nel determinare percorsi diversificati nelle strutture ospedaliere, con sovrapposizioni continue di aree pulite e aree sporche complicando la diffusione del contagio e la carente sorveglianza sanitaria a domicilio. Molti cittadini sono rimasti a casa senza che nessuno li potesse visitare e soprattutto curare. 

Nel c.d. decreto rilancio sono stanziati fondi anche per l’infermiere di famiglia. Come valuta questa ipotesi?
Lo diciamo e lo chiediamo da anni. L’infermiere sul territorio, di famiglia o di comunità è una risposta necessaria in un contesto sociale dove è aumentata notevolmente la percentuale di persone anziane e di soggetti con malattie croniche. Il bisogno principale è quello dell’assistenza, di una presa in carico totale per garantire monitoraggio e continuità assistenziale. Le competenze infermieristiche sono quelle che servono anche se si vuole dare una risposta ai ricoveri impropri, al sovraffollamento dei pronto soccorso e al taglio dei posti letto verificatosi negli ultimi anni.

- Advertisement -Nuova Società - sponsor

Articoli correlati

Nuova Società - sponsor

Primo Piano