Sembra avviarsi alla conclusione l’indagine sulla truffa e la bancarotta della De Tomaso, con l’imprenditore Gian Mario Rossignolo di nuovo davanti ai pm, oltre due anni dopo il suo arresto. Che tira in ballo la Pininfarina, di cui avrebbe cercato a tutti i costi di evitare il tracollo.
I fatti. L’inchiesta, che inizialmente riguardava corsi di formazione finanziati con fondi di Regione Piemonte e Comunità Europea e mai partiti, negli anni si è allargata, interessando anche la situazione di oltre ottocento operai altamente specializzati che si sono ritrovati senza lavoro. Un’operazione disastrosa, di cui d’altra parte Rossignolo assicura non essere l’unico responsabile. L’obiettivo delle manovre, infatti, sarebbe stato salvare Pininfarina dal fallimento. La tesi, del resto, era già contenuta in una lettera del 26 agosto 2011 indirizzata all’allora presidente della Regione Piemonte Roberto Cota e conservata perché contenuta tra le carte del fallimento.
«Era assolutamente necessario, di fronte al totale diniego delle banche di concedere nuova finanza a Pininfarina già esposta con livelli di indebitamento proibitivi – scriveva Rossignolo – trovare urgentemente una soluzione che consentisse di: evitare la messa in mobilità delle maestranze eccedenti (900 su un totale di 1500); continuare l’esecuzione da parte di Pininfarina degli impegni produttivi assunti attraverso Fiat (Alfa Romeo) e Ford; disporre di una liquidità aggiuntiva per circa 17 milioni di euro. Dopo lunghe ed estenuanti trattative che hanno coinvolto, oltre alla De Tomaso, l’assessore all’Industria all’epoca in carica, la Pininfarina, le banche e le organizzazioni sindacali, si è giunti a un accordo».
Intanto si avvia a conclusione il periodo in cui può essere tenuto aperto il fascicolo a carico di Gian Mario Rossignolo e del figlio Gianluca.