Continua la battaglia a Roma sulla Tav. Mentre Luigi Di Maio è alla ricerca di ogni sorta di escamotage per addolcire la pillola di un (ora) possibile Sì al progetto Torino-Lione e intanto che Matteo Salvini, in vista delle regionali in Piemonte, continua a sostenere che l’opera si farà, l’opposizione chiede che il governo s’impegni alla pubblicazione dei bandi.
In Senato infatti il Partito Democratico ha presentato una mozione, che vede come primo firmatario Mauro Laus, in cui si sollecita l’esecutivo a risolvere la questione in tempi brevi.
Ovvero ad:
– adottare tutte le iniziative necessarie per consentire alla società concessionaria Telt di procedere con urgenza alla pubblicazione dei bandi di gara per la realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione;
– a rendere noto a cittadini ed imprese e a comunicare al Parlamento il nuovo cronoprogramma per il completamento della Tav Torino-Lione in ragione del ritardo provocato nella pubblicazione dei bandi di gara da parte di Telt;
– ad adottare ogni iniziativa utile a superare l’attuale blocco delle grandi e piccole opere, che, secondo alcune stime ammonterebbe a circa 36 miliardi di euro, e a riprendere finalmente un’adeguata politica di investimenti in grado di incidere nei prossimi anni sulla crescita dei posti di lavoro e sul tasso di sviluppo del nostro Paese
Una mozione insomma che vuole concretezza e la chiede al governo chiamato a prendersi la responsabilità delle proprie decisioni, che vanno finalmente prese visto che ancora ieri, 5 marzo, «il vertice di Governo convocato per affrontare la situazione della Tav Torino-Lione si è concluso con un rinvio di qualsiasi decisione alla data dell’8 marzo 2019». E tutto ciò dopo quasi un mese dalla pubblicazione dell’analisi costi e benefici voluta dal ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, a cui è seguita una seconda analisi, con risultati diversi, richiesta dal premier Giuseppe Conte, e l’ipotesi di una “mini-Tav” nettamente respinta da Luigi Di Maio «evidenziando il permanere di gravi divergenze di opinioni all’interno della compagine di governo».
«Gli avvenimenti di questi ultime settimane, hanno evidenziato in modo inequivocabile come questo Governo non abbia una linea precisa e univoca sulla Tav, anzi di come ne abbia troppe, il che vuol dire non averne nessuna. Arrivati a questo punto l’Italia ha il diritto di sapere come questa maggioranza la pensa sul tema Tav. Credo sia necessario, opportuno e giusto che ci dicano, qui in un’aula del Parlamento, luogo principe del confronto istituzionale, cosa intendono fare sulla vicenda, è giunto il momento di smettere di eludere domande a cui non hanno mai voluto o, a questo punto, saputo rispondere. Oggi, dovrebbero invece iniziare a prendere una posizione. Lo devono agli italiani e al ruolo che ricoprono. Le assunzioni di responsabilità sono passaggi obbligati della vita politica», spiega il primo firmatario della mozione, Mauro Laus.
Nel documento si fa anche notare anche come «le decisioni finora assunte dal Governo sulla Tav Torino-Lione, opera per la quale sono state già impegnate e spese ingenti risorse economiche, oltre a bloccare il Paese e mettere in difficoltà un rilevante numero di imprese e di lavoratori impegnati nella sua realizzazione, rischia di compromettere il pieno rispetto di accordi internazionali assunti dal nostro Paese per le grandi opere della rete TEN-T (Reti di Trasporto Trans-europee, ndr)». Oltre al fatto che «a sostegno della realizzazione del nuovo collegamento ferroviario Torino – Lione, sono state organizzate diverse manifestazioni spontanee nella città di Torino. L’ultima, svoltasi lo scorso 12 gennaio in Piazza Castello, ha visto tra i manifestanti la presenza di esponenti di maggioranza del Governo che insieme agli altri hanno manifestato per ribadire il Si alla Tav».
Una situazione di stallo, e di divergenza tra governo e mondo produttivo, che preoccupa anche il titolare del Mef, Giovanni Tria: «Il Ministro dell’economia e delle finanze – si legge sempre nella mozione – trattando del tema della Tav, avrebbe recentemente dichiarato alla stampa che “nessuno verrà mai a investire in Italia se il Paese mostra che con un cambio di governo non sta più ai patti, cambia i contratti, cambia le leggi e le fa retroattive».