Prove di unità a sinistra. È il progetto portato avanti da Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano, che con il dialogo e una progettualità comune sta provando ad amalgamare la frammentata galassia di partitini e micro partiti sbriciolata a sinistra del Pd, per costruire un soggetto politico in grado di far sentire la propria voce in un sistema istituzionale di fatto tornato al proporzionale. Se ne è discusso sabato 4 marzo alla Fabbrica delle “E” di Torino, in un confronto ricco di spunti interessanti con esponenti della politica e della società civile del capoluogo subalpino e non solo.
A introdurre l’incontro, Monica Cerutti, assessore alle Pari Opportunità della Regione Piemonte, che ha messo in risalto l’esigenza di (ri)costruire una “casa comune” della buona politica, ricucendo il rapporto con i cittadini, sempre più sfiduciati nei confronti di una classe dirigente troppo spesso autoreferenziale e distante. La stessa Cerutti ha riferito di come a volte si senta dire “non sembri una politica” , a guisa di complimento, per il semplice fatto di dimostrare capacità di ascolto ed empatia nei confronti degli interlocutori, un qualcosa che dovrebbe essere la regola per chi amministra e governa, ma che evidentemente si è perso. Ancora Cerutti ha evidenziato l’opportunità di implementare la presenza femminile, con la sua diversa sensibilità, nei processi decisionali, e la necessità di dare importanza non tanto alle “bandiere” di appartenenza quanto a una progettualità condivisa, comunicando chiaramente cosa si sta facendo e cosa si vorrebbe fare.
È stato poi affrontato il tema cruciale dell’immigrazione con la testimonianza di Barbara Spezini, responsabile dell’attività sociale di Articolo 10, associazione torinese che ha come scopo la tutela e assistenza di donne e minori stranieri, che ha rimarcato l’importanza di procurare una casa agli immigrati, fattore che aumenta considerevolmente il desiderio di radicarsi e integrarsi. Al tempo stesso, è importante condividere con i nuovi arrivati la nostra memoria storica (per questo è in corso un progetto coi musei cittadini) e far capire loro quanto sia importante contribuire ad arricchire la comunità che li ha accolti. Ancora Spezini ha elencato quattro priorità da tenere presenti nella gestione del fenomeno migratorio: no ad accordi bilaterali – come quello recentemente stipulato con la Libia – con Paesi che non rispettano i diritti umani; revisione delle leggi sull’immigrazione; riconoscimento dell’accoglienza come fattore strutturale e non emergenziale; riconoscimento dei diritti civili agli immigrati in un percorso di cittadinanza.
Di contrasto alle mafie e dell’importanza di riutilizzare i beni confiscati alla criminalità ha parlato Davide Mattiello, esponente dell’associazione Libera e membro delle Commissioni Giustizia e Antimafia della Camera, mentre Gianguido Passoni, ex assessore del Comune di Torino, ha ricordato la necessità di salvaguardare la natura pubblica della Sanità, anche utilizzando una fiscalità più mirata, essenziale in un Paese dove la forbice fra i (pochi) ricchi e i sempre più numerosi poveri si va acuendo in misura intollerabile. Dal canto suo, lo storico Giovanni De Luna ha allargato lo sguardo anche al passato, rimarcando una certa subalternità culturale della Sinistra, specialmente a partire dal crollo del Muro di Berlino, una subalternità che tuttora la rende inefficace nel contrastare la “narrazione” della realtà portata avanti dalle destre e dai populismi, che spesso sostituiscono la loro visione propagandistica ai fatti, aumentando il proprio consenso senza che la Sinistra, appunto, riesca a ripristinare una visione diversa e oggettivamente più pertinente della realtà.
È il caso proprio di una delle tematiche attualmente più scottanti, quella dell’immigrazione, come ha evidenziato Giuliano Pisapia, riannodando le fila delle molteplici suggestioni arrivate dal dibattito: mentre le destre e i populisti fomentano le paure della gente paventando il rischio di “invasione”, la sinistra ha fatto troppo poco per ricordare, per esempio, che l’Italia ha bisogno di accogliere 200.000 immigrati all’anno, per compensare le proprie dinamiche di calo demografico e invecchiamento della popolazione, da cui la necessità di accelerare l’iter per il riconoscimento del diritto d’asilo.
Nell’analisi di Pisapia non manca in effetti una forte componente di autocritica, anche personale, filtrata dalla propria esperienza di ex amministratore ancor più di quella di ex parlamentare. Perché a volte ciò che si pensa di poter fare a livello ideale, risulta impraticabile nel confronto con la realtà quotidiana. Ecco allora la necessità di smussare posizioni che possono rivelarsi demagogiche, sostituendole con azioni concrete, basate sulla necessità imprescindibile dell’ascolto dei bisogni e delle domande del territorio, della base, delle persone. Un approccio pragmatico, guidato da due capisaldi irrinunciabili nel merito e nel metodo, rispettivamente la legalità e la sobrietà, quest’ultima caratteristica distintiva dello stile di Pisapia, che si presenta con uno stile pacato e discorsivo, mai sopra le righe e, soprattutto, dando l’impressione di vicinanza all’interlocutore, fattore determinante per tentare di ricucire il rapporto con un elettorato deluso dalla mancanza di risposte concrete. Risposte che spesso la sinistra non ha saputo dare, perdendo progressivamente il proprio consenso a favore di quei populismi che invece le risposte le danno, anche se sbagliate o semplicistiche.
Ecco dunque la necessità, per la sinistra, di non limitarsi più a criticare queste posizioni, per quanto demagogiche e ingannevoli, bensì di fornire risposte diverse e migliori ai bisogni e alle legittime aspettative della cittadinanza. Il che non significa, tuttavia, essere eccessivamente subalterni alle dinamiche elettorali, come è spesso accaduto ai governi di centro-sinistra, poco coraggiosi nel prendere determinate decisioni per il timore di perdere quella fetta di elettorato genericamente etichettata come “moderato”. Al contrario, si dovrebbe rivendicare la bontà delle proprie scelte e della propria capacità di governo, che si esplica efficacemente a livello di amministrazioni locali, dove le varie componenti, siano esse centrosinistra, moderati, sinistra o liste civiche, riescono a unirsi e dialogare in modo da porsi come punto di riferimento per i concittadini e a gestire per il meglio la “cosa pubblica”.
Un qualcosa che invece, a livello nazionale, pare che la sinistra non riesca proprio a fare, travolta da innumerevoli diatribe che sfociano in una marea di prese di distanza, “distinguo”, posizione diversificate che alla lunga finiscono per esaltare personalismi e individualismi, lacerando il tessuto comune e provocando divisioni e scissioni a non finire. Consapevole di questa realtà, Pisapia non ha intenzione di replicare l’idea di grosso contenitore del centro sinistra che è stata alla base della creazione del Partito Democratico, un grosso calderone che a forza di ribollire al suo interno alla fine è esploso. Quello a cui pensa l’ex amministratore milanese è piuttosto un modello federativo, basato su un programma comune e condiviso costruito “dal basso”, sulla base delle reali indicazioni e richieste della cittadinanza. Un soggetto politico omogeneo e riconoscibile, in grado di arrivare a percentuali significative all’interno dell’attuale sistema proporzionale, per poi dialogare da protagonista con le altre forze politiche. Con la volontà di governare, perché la sinistra ha già dimostrato di saperlo fare, e bene.