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martedì, 17 Settembre 2024

Corsa in salita per Boris Johnson

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Scritto da Domenico Cerabona

Boris Johnson potrebbe essere primo il Premier della storia (a memoria di chi scrive) a subire una sconfitta parlamentare ancora prima di essere stato eletto.

Il tema, manco a dirlo, è quello della Brexit ed in particolare delle prerogative dei parlamentari sul, sempre più probabile, scenario del “no deal” ovvero di una uscita unilaterale del Regno Unito dall’Unione Europea. Il Parlamento è molto diviso sulla Brexit, al punto di non essere mai riuscito a trovare una maggioranza solida su un percorso condiviso; tuttavia sull’argomento “no deal” si è sempre espresso in maniera contraria e con ampia maggioranza.

Questo aspetto è stato ampiamente trattato in queste settimane di campagna congressuale per il successore di Theresa May alla leadership dei Tories e, dunque, al numero 10 di Downing Street. Infatti con la scadenza del 31 ottobre oltre la quale, a meno della richiesta di una ulteriore proroga, la Brexit diventerà effettiva con o senza accordo, ai due candidati conservatori è stato chiesto fino a dove sono disposti a spingersi per uscire dall’Unione entro e non oltre la fine di ottobre. Sebbene tutti e due siano concordi sul fatto che il “no deal” sia una opzione che non può essere scartata, Boris Johnson si è spinto – come sempre – più in là. In questi giorni gli è stato più volte domandato se consideri tra le varie opzioni per attuare la Brexit senza ulteriori ritardi, quella di “sospendere” il Parlamento per impedire ai parlamentari di mettersi di traverso e ostacolare un’uscita senza accordo: Johnson non si è mai detto contrario a questa ipotesi e anzi ha fatto intendere che questa procedura non può essere esclusa.

Il “proroguing” è una consuetudine parlamentare britannica che prevede una sospensione parlamentare di qualche giorno, imposta dalla Regina su richiesta del Primo Ministro. In tempi normali capita una volta l’anno, tra aprile e maggio, e ha come unico effetto quello di “uccidere” tutti gli emendamenti e disegni di legge che non siano stati approvati durante l’anno solare. Una formalità, e qui sta il punto, in cui i Parlamentari non hanno voce in capitolo: il potere di sospendere il Parlamento lo ha la Regina e dunque il Primo ministro. Chiudere il Parlamento per impedirgli di votare contro una decisione del Primo ministro sarebbe però tutt’altro che una formalità e, tra le altre cose, trascinerebbe la Regina nell’agone politico su un argomento altamente divisivo come la Brexit: cosa che finora Elisabetta II si è rifiutata anche minimamente di fare.

Di fronte a questo possibile scenario piuttosto inedito, se si esclude il precedente in cui il Re Carlo I cercò di imporre la sua volontà su quella della House of Commons perdendo – letteralmente – la testa, i Parlamentari sono passati al contrattacco e anzi alla “guerra” preventiva.

Ieri, infatti, con una maggioranza di 41 voti e nonostante la linea ufficiale del governo e del partito Conservatore fosse di un voto contrario, la House of Commons ha fatto passare un emendamento che, nei fatti, impedirà al futuro Primo Ministro di sospendere il Parlamento nel mese di ottobre. L’emendamento si è infilato nella complicata e difficile da spiegare vicenda del governo Nord Irlandese, al momento “commissariato”, che è stata utilizzata come grimaldello per infliggere una pesante sconfitta preventiva a Johnson.

Questo voto fa chiaramente capire a cosa andrà incontro l’ex sindaco di Londra se, come da previsioni, la settimana prossima dovesse diventare Primo Ministro. La situazione sarà speculare a quella affrontata da Theresa May, impossibilitata a imporre al proprio partito (e dunque al Parlamento) la propria linea a causa dei parlamentari euroscettici guidati proprio da Johnson, mentre il nuovo leader dovrà affrontare (oltre ovviamente all’opposizione) i parlamentari conservatori più europeisti contrari ad un’uscita senza accordo e capeggiati al momento dall’attuale Ministro delle Finanze Philip Hammond che in questi giorni è entrato sull’argomento “no deal” a gamba tesa, rappresentandolo come un disastro.

Insomma la premiership di Boris Johnson non è ancora iniziata e già appare una corsa in salita sull’argomento chiave che dovrà affrontare non appena messo piede a Downing Street.

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