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giovedì, 12 Dicembre 2024

Claudia Porchietto, l’asso nella manica del centrodestra: “Torino ha bisogno di un progetto non solo di un candidato”

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Rosanna Caraci
Rosanna Caraci
Giornalista. Si affaccia alla professione nel ’90 nell’emittenza locale e ci resta per quasi vent’anni, segue la cronaca e la politica che presto diventa la sua passione. Prima collaboratrice del deputato Raffaele Costa, poi dell’on. Umberto D’Ottavio. Scrive romanzi, uno dei quali “La Fame di Bianca Neve”.

Claudia Porchietto potrebbe essere l’asso nella manica del centrodestra per la corsa alle amministrative: da settimane si fa il suo nome per la sfida 2021 quando la città dovrà scegliere il nuovo sindaco. Lei, donna brillante, in politica dal 2009 con Forza Italia, ha dato prova di capacità, ascolto, lungimiranza.

È stata assessore regionale al Lavoro, oggi è parlamentare azzurra e c’è chi sarebbe pronto a scommettere sul suo nome, trasversalmente apprezzato per quanto messo in campo finora. Sono come la bella Maria, scherza, riferendosi soprattutto alla sua disponibilità a candidarsi alla presidenza della Regione. Sembrava cosa fatta poi, dopo una melina durata mesi, è stato preferito Alberto Cirio.

Ed ora, che per la poltrona di sindaco di Torino si faccia il suo nome le fa piacere, certo, ma fa capire che non sarà più disposta ad accettare i temporeggiamenti che ci furono allora.

Ammette Claudia Porchietto: «Mi è dispiaciuto molto. Tutti sapevano che tornare in Regione mi sarebbe piaciuto molto, perché non ho mai fatto mistero. Mi dà soddisfazione poter lavorare per lo sviluppo del mio territorio. Era una partita aperta, ed è andata così. Con Alberto Cirio c’è un ottimo rapporto, stiamo lavorando insieme al Piano Competitività della Regione. Secondo me la funzione della Regione è strategica, per progettare il Piemonte dei prossimi dieci anni».

Proprio Alberto Cirio ha avuto parole pesanti nell’ultimo incontro tra Confindustria e parlamentari piemontesi, circa la manovra finanziaria e le tasse contro plastica e zucchero.

Questa è una tassazione che uccide il mercato interno. In Italia, 11mila aziende e decine di migliaia di addetti diretti e indiretti nel settore plastica rischiano il posto di lavoro. Coca cola Italia ha importanti stabilimenti che verranno colpiti dalla sugar e dalla plastic tax. Per loro si pone la questione di come restare sul mercato. Non ci mettono nulla a togliere gli stabilimenti dall’Italia per portarli all’Est.

Però noi importiamo la plastica riciclata dalla Cina.

Non è corretto. Noi stiamo importando da anni plastica dalla Cina, che non è riciclata ma vergine: la “taroccano”, mettendoci il timbro. Nei vari controlli che con il centrodestra abbiamo suggerito, si è scoperto da alcuni campioni che plastica riciclata non è, ma è pura. Quindi la importiamo facendoci beffare quando potremmo produrla noi.

I cinesi saranno contenti a questo punto, perché fanno un affare. Ma noi dobbiamo difendere il futuro e renderlo sostenibile, o no?

L’inserimento della plastic tax ha nulla a che vedere con il tema ambientale, perchè non parte dal principio “chi inquina paga!” ma cerca una copertura ala manovra finanziaria perchè manca un miliardo 200mila euro per il 2020. Il comparto della plastica italiana è il secondo in Europa non solo per produzione, ma anche per innovazione e ricerca. Noi siamo tra i produttori e gli innovatori dei processi nell’utilizzo di plastiche riciclabili ma anche rispetto ai macchinari e al riciclo della plastica. Introdurre la Plastic tax significa uccidere un settore.

Ma ce lo chiede l’Europa.

La normativa europea prevede entro il 2021 la messa al bando di quattro prodotti monouso: le cannucce, i cotton fioc, i bicchierini non biodegradabili e i contenitori monouso. In Italia invece tassiamo tutta la plastica, anche le scocche delle macchine. Non tassando il prodotto, ma il polimero, tassiamo tutto. Il ministro Gualtieri, non si era accorto che nella prima redazione dell’articolo 74 erano inserite come plastiche tassate anche quelle per le siringhe monouso, per gli stent, i prodotti sanitari che sono monouso per una questione sanitaria. Ho fatto notare che se con quella tassazione, la spesa sanitaria sarebbe schizzata alle stelle. L’articolo è stato modificato ma resta un grosso problema di incompetenza. C’è una volontà di tassare per prendere soldi, ma non di comprendere quale ricaduta sulla vita quotidiana di cittadini e imprese.

Nel 2021 si vota a Torino. Il suo nome venne fatto già nel 2016 dall’allora coordinatore di Forza Italia Pichetto; oggi, guardando al futuro prossimo, si torna a guardare a lei. Ci starebbe?

Me l’hanno chiesto in tanti. Torino ha delle potenzialità eccezionali, il problema è che ha una classe dirigente che non riesce a guardare con positività e al di fuori delle tradizioni.

Una è certo l’automotive. Guarda con preoccupazione all’accordo FCA-Peugeot?

Lo seguo con interesse. Ciò che mi preoccupa, rispetto a questa possibile operazione, è che vede comunque una prevalenza francesce significativa: i francesi hanno una capacità che noi non abbiamo, quella di difendere “i confini”, intesi come interessi nazionali. Gli italiani sono un po’ più aperti, e confondono la difesa dei propri interessi con il nazionalismo, il sovranismo. Difendere un capitale come il nostro, fatto di politiche economiche e di tradizione dell’automotive e nella meccanica, è assolutamente legittimo e d’obbligo: rischiamo che l’indotto automobilistico possa entrare in competizione con quello francese e non so chi vincerà. A livello di competenze non avrei dubbi, ma sulla capacità di ingerenza ne ho molti.

In quindici anni, Torino ha saputo sviluppare un grande capitale rappresentato dal Politecnico e dall’Università. È d’accordo?

Rappresentano un patrimonio: sia Università che Politecnico si sono trasformati da centri di eccellenza universitaria in attrattori di investimenti e in incubatori con capacità di generare nuove imprenditorialità. Le start up che sono nate dagli incubatori, in particolare del Politecnico, sono grandi eccellenze. Il problema è stato che nel momento in cui le start up sono uscite dall’incubatore, pronte per essere testate dal mercato, sono state lasciate sole, non hanno trovato un territorio accogliente che le esortasse a restare, con una tassazione favorevole, con aiuti che le affiancassero nel loro percorso. Il futuro della città poteva partire da qui. Significava attrarre nuovi laureati e nuovi lavoratori, per impieghi pagati bene. Chi guadagna bene resta su territorio e spende sul territorio.

È una città chiusa?

Abbiamo chiuso la città per incompetenza. Non ci vedo cattiva fede o assenza di volontà nella Giunta cittadina, ma incapacità, e non conoscenza delle materie che, se sconosciute, spaventano. Per tanto si dice di no a tutto.

È una posizione magnanima, la sua?

No, ho smesso di giustificare la sindaca nel momento in cui lo scorso anno, di fronte a Olimpiadi e Tav, in modo ottuso ha voluto chiudere la partita per paura di scontrarsi con il suo consiglio comunale. Da una parte c’era il bene della città, dall’altra il suo.

Lei cos’avrebbe fatto?

Non avrei avuto dubbi, avrei aperto la crisi, avrei detto “signori, voi da domattina siete a casa”. Non credo che, alla fine, Appendino sarebbe “caduta”. Ma avrebbe dato un segnale forte di chi voleva il bene della città. Arriveranno le Atp Finals, si sta investendo molto nei rapporti con la finanza internazionale. Ben venga, anche se in tre anni di forum con la finanza araba non ho visto ancora un finanziamento, un’apertura di credito dei grandi fondi sovrani degli Emirati nei nostri confronti. In questo modo ci precludiamo altri mercati.

Cosa significa?

I mondi della finanza sono settari. Se dialoghi con uno, gli altri ti escludono. Abbiamo parlato per molto tempo di fondi londinesi e britannici per ipotetici finanziamenti su Torino, ma nel momento in cui abbiamo aperto agli arabi quella parte si è chiusa.

Lei sembra avere idee molto chiare. Quindi nella partita per il candidato sindaco conteranno su di lei. Del resto glielo chiesero nel 2016, lei declinò. Ora che il centrodestra ha il vento in poppa…

Io faccio parte di una coalizione, teoricamente il candidato sindaco lo dovrebbe esprimere la Lega, Mi hanno già messa in ballo per otto mesi, con la presidenza della Regione, non è bello essere sulla graticola ad attendere decisioni che non arrivano. Quando sei una figura femminile, una difficoltà ce l’hai sempre. Anche se non ti fai mettere i piedi in testa in qualche modo cercano sempre di metterteli, quindi vado molto cauta su questo. E poi dipende.

Da cosa dipende?

Se vogliamo giocare una partita politica, per mettere una bandierina o invece una partita più ampia per far uscire la città dal loop negativo in cui è entrata. Io a questo sto lavorando, sto cercando con le competenze che ci sono sul territorio di costruire un progetto: è chiaro che se poi nel 2021 chiederanno a me di portarlo avanti il progetto, ci sarò.

Quanto ama Torino?

Molto, infatti la città mi sta a cuore. È una città che ha bisogno di cose concrete, di un progetto, non solo di “un candidato”, di “un nome”. Da anni questa città va avanti con elezioni amministrative dove si sceglie il meno peggio ma non c’è un disegno per il suo futuro.

Anche lei crede che Torino e il Piemonte soffrano del complesso di inferiorità nei confronti della Lombardia?

Non abbiamo mai provato a costruire una strada alternativa. Analizzando lo sviluppo delle regioni del centro nord in questi ultimi 15 anni, non dobbiamo guardare la Lombardia, ma l’Emilia Romagna, Perché si presenta esattamente come noi, basta pensare che nel 2014 fece un piano di fondi europei identico al nostro. Oggi rappresentano l’eccellenza per innovazione, ricerca e sviluppo, valore procapite aggiunto: nel loro sviluppo, non c’era la Lombardia come modello, perché tradizionalmente votata ad altri settori strategici, quali l’economia e l’alta finanza.

Lei crede che Torino sia ancora in grado di sognare in grande?

Questa città deve rendersi conto che la Fiat non c’è più, non se n’é ancora resa conto abbastanza e continua a sperare che l’Azienda sia di nuovo l’ancora di salvataggio. Il mondo automotive è importante, ma non è soltanto FCA. E non esistono panacee: se ci dedicheremo allo sviluppo dell’elettrico, dovremo anche pensare a cosa farne dell’indotto che ha sempre lavorato su motori convenzionali. Cambierà il modo di lavorare sull’auto. Abbiamo in mente nuova formazione, piani di sviluppo? Siamo sicuro che il futuro sia questo? La politica e le amministrazioni devono porsi queste domande, non possiamo far finta che non accadrà nulla.

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