Scritto da Sara Collicelli
Buongiorno, gente del Nord Italia. Le vacanze di Natale sono terminate, ma i rewatch che ci ha regalato in queste feste Netflix non ancora.
Uno dei regali più belli che abbiamo ricevuto, infatti, è stato da parte della piattaforma la possibilità di rivedere delle serie TV che hanno accompagnato la nostra (o almeno la mia) adolescenza. Come ad esempio Gossip Girl, che ha segnato le mode e i tempi tanto che le venisse dedicato addirittura un giorno: il 26 gennaio, il Gossip Girl Day.
Una serie andata in onda tra il 2007 e il 2012, sei stagioni di intrighi, di love stories più o meno improbabili, morti, resurrezioni e, immancabile per un teen drama, sesso droga e balli delle debuttanti. Una serie che ci ha regalato una bellezza imbarazzante come quella di Blake Lively. Che ci ha insegnato che anche essere tanto tanto tanto ma tanto ricchi non ti proteggere da certe colate di letame che la vita ti riserva.
Le vicende dei giovani Serena, Dan, Blair, Nate e Chuck (più una serie di personaggi “accessorio” , primo tra tutti la giunonica domestica Dorota) sono raccontate attraverso l’occhio vigile e giudicante di Gossip Girl.
Un blog che raccoglie anonimamente i pettegolezzi dei ragazzi dell’Upper East Side rendendoli così di dominio pubblico e condannando il/la malcapitato/a al pubblico ludibrio.
Il tutto, ripeto, anonimamente.
Da questo, dall’anonimato iper tutelato, nasce la considerazione che anima questo racconto.
Si, perché come spesso capita, rivedere una serie tv a distanza di anni ti permette/impone di farlo con occhi diversi. Maturi maggiore consapevolezza. Perciò, se alla prima vista ero affascinata da questo mondo fatto di opulenza che per noi comuni mortali appare irraggiungibile, oggi finisco di vedere GG e mi riscopro un po’ psicologa.
Si, perché l’identità di Gossip Girl alla fine viene rivela e si scopre essere un giovane fanciullo che viene da Brooklyn e che si sente emarginato perché non abbastanza ricco, non abbastanza figo, non abbastanza qualsiasi cosa. Cosa decide di fare, quindi, per entrare nel loro dorato mondo? Aprire un blog dove raccontare pubblicamente (ma anonimamente) tutti i segreti di quelli che vuole diventino suoi amici!
Diviene cioè un colto cyber bullo precursore dei tempi. Perché quello che accade oggi con facebook lo faceva già Gossip Girl nel 2007. Raccogliere foto e segreti imbarazzanti e raccontarli a tutti. Su internet. Senza filtri. Anonimamente. Senza diritto di replica.
Un cyber bullismo ante litteram, di fatto.
Si, perché se ci pensate il bullismo è un comportamento violento dal punto di vista fisico e /o psicologico. Il cyber bullismo è il bullismo con l’aggravante dell’uso di internet.
Ergo, Gossip Girl è una cyber bulla.
O meglio, sulla carta appare come la perfetta vittima di un bullo. Vuole “solo” essere accettata dai ragazzi dell’Empire Hotel. Peccato che per farlo decida di adottare metodi decisamente non ortodossi.
Certo, oggi raccontare sui social avventure sessuali o alcoliche non è da bullo visto che sono gli stessi protagonisti a condividerle (quasi) passo dopo passo. Contestualizzato durante Gossip Girl no. C’era ancora un minimo di riservatezza su certe cose.
Ma al netto delle differenze di contenuto, rimangono i modi. Denigrare, umiliare, quasi ricattare. L’idea di anonimato, che perdonatemi, mi angustia più di tutto.
L’idea di nascondersi dietro uno schermo, con uno pseudonimo. Quella mancanza di coraggio di assumersi le proprie responsabilità per quello che si fa. Per quello che si dice. Per quello che si scrive. Nero su bianco. Su internet, soprattutto.
Sembra quasi una dissonanza cognitiva. Due idee in contrasto (disprezzare un mondo e volerne far parte allo stesso tempo) che portano a mettere in atto un comportamento che riduca la sofferenza che le due idee producono.
Vuoi far parte di quel mondo, non riesci a entrarci allora lo svilisci. In pratica: quando la volpe non arriva all’uva, dice che è acerba.
Un comportamento questo diffuso tra tutti e a patirne maggiormente sono gli adolescenti. Che vivono il periodo regio del cambiamento (biologico e psicologico) e devono trovare la loro collocazione nel mondo. E quando non ci riescono con i loro mezzi, che sia per loro inefficienza o per inefficienza degli altri, lo fanno con tutte le risorse di cui possono disporre.
Anche e soprattutto se si tratta di un computer o di uno smartphone, che ti garantisce l’anonimato.
Perché se nessuno mi vede sono meno responsabile. Perché lontano dagli occhi, lontano dalle punizioni.
Quando basterebbe rieducarci ad apprezzare quel che abbiamo.
Quando basterebbe rieducarci ad apprezzare le differenze. Nostre e degli altri.
In fondo, l’arcobaleno non è forse fatto di mille colori diversi?