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martedì, 11 Marzo 2025

Un nuovo futuro, uscendo dalla passività

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Raccontiamola giusta. Quale normalità ci troveremo ad affrontare usciti dal lockdown? Cosa ci aspetta domani?
Una normalità fatta, se va bene, di distanze, mascherine e limitazioni. Una normalità che non sarà più quella con cui eravamo abituati a convivere. Una normalità stravolta, diversa. Tornare solo ad ipotizzare o a ventilare la possibilità di un ritorno ad una vita come quella precoronavirus, è falso se non dannoso perché pone tutti in una situazione di passività che non aiuta nessuno.

Ci stiamo facendo cullare dall’idea che “tutto andrà bene” affidando, a non so bene chi, i nostri destini, solo perché, forse, stiamo maturando la consapevolezza che il vero dramma sarà uscire e non restare chiusi in casa. Abbiamo paura di andare fuori e trovarci di fronte a qualcosa di difficile. E allora ci rifugiamo nella passività.

Ma la passività sociale ci mette in stand by, in una situazione di attesa che allontana anche da valori essenziali della vita quotidiana: buona volontà, appartenenza ad organizzazioni, solidarietà, rapporti sociali tra individui e famiglie che compongono un’unità sociale.

Valori che appartengono certamente alla sfera individuale ma che si autoalimentano anche facendo leva su attività, principi e organizzazioni che per natura svolgono una importante funzione sociale:

Penso allo sport, all’istruzione, alla cultura, al lavoro svolto dalle organizzazioni sociali, al volontariato.

In periodi di gravi crisi, di stravolgimenti improvvisi, la riorganizzazione sociale va dunque incoraggiata e sostenuta con misure efficaci al pari di quelle pensate per l’economia, misure urgenti e ben mirate, studiate per preservare il tessuto economico produttivo della nostra società.

Sono due facce della stessa medaglia, elementi da sostenere con la stessa forza, con la stessa determinazione. La crisi economica rischia di scavare un solco profondo nella nostra società. Dopo, scusate il termine, l’abbuffata di solidarietà di questi primi giorni, il rischio è che egoismo e istinto di sopravvivenza possano prendere il sopravvento, causando quello shock sociale che tutti temiono.

Il risveglio sarà duro e bisognerà attrezzarsi. Viviamo in una bolla e, inconsciamente, esaltiamo e ci nascondiamo dietro gesti di sacrosanta solidarietà, perché convinti che tutto tornerà al proprio posto nel giro di qualche mese.

Uscire dunque dalla passività sociale è una premessa essenziale per affrontare il futuro.

E dobbiamo e possiamo uscirne puntellando valori di ordinaria convivenza, sostenendo la rete di protezione sociale, preservando e rilanciando il lavoro. In un percorso che sarà lungo, ma necessario.

Ci aspetta un periodo di sacrifici: il lockdown è uno spartiacque che plasmerà il futuro delle nuove generazioni. In contesti storici e sociali diversi e sicuramente con intensità e conseguenze diverse, è gia successo e succederà ancora. È successo dopo la seconda guerra mondiale, dopo il crollo di Wall Street, dopo le Torri gemelle. La storia ogni tanto sbanda e ci pone davanti alla necessità di superare l’ostacolo, di organizzare strategie di adattamento e di ripresa nuove.

In questo quadro è chiaro che il ruolo della politica risulta determinante per guidare processi di aggregazione e di rilancio, costruire le premesse per una nuova normalità, assicurare un presente dignitoso e costruire un futuro per le nuove generazioni.

Ma è bene dire che parte della classe dirigente era allo sbando già prima del virus, fomentando lacerazione nella società, panico, rabbia, incertezza, quasi come volesse consapevolmente anticipare gli effetti del Covid, rendendogli fertile il campo. Parlo naturalmente delle conseguenze sociali, relazionali e non certo delle dinamiche pandemiche.

Egoismo, individualismo, disgregazione sociale sono entrate da tempo nel quotidiano sfruttando la via maestra spianata da pezzi importanti della classe dirigente. A questo si sono aggiunti i danni causati da incompetenza, saccenza, dalla totale inadeguatezza al ruolo, da valori distorti entrati nei palazzi sfruttando il cavallo di Troia dell’antipolitica.

Il populismo ha così innescato una miscela esplosiva difficile da disinnescare. Una miscela che ha minato alle fondamenta la nostra società e che ha inferto un duro colpo alla credibilità e dunque alla capacità della classe politica di farsi carico con la giusta fiducia, con il giusto riconoscimento e legittimità di una impresa titanca e collettiva come questa che abbiamo davanti.

La mancanza poi di fiducia in un leader, in una guida, in un progetto, sfianca e depotenzia ogni soluzione proposta. Purtroppo è il cane che si morde la coda:
La fiducia nelle classi dirigenti crolla prorpio grazie ai meccanismi messi in campo dalla stessa classe dirigente per delegittimare il sistema. Risultato:
Io società fa fatica a riconoscersi in un modello che non apprezza. Mi hai abituato ad essere egoista? Allora non ti seguo nella richiesta di uno sforzo collettivo. Mi hai fatto credere che tutti posso ricoprire ogni incarico? non mi fido più, incompetenza e approssimazione ci hanno stancato.

Certo, invertire la rotta sarà complicato. Specie in questo periodo. Bisogna metterci tutti in gioco, in discussione, alla prova. Uscire dalla passività sociale sarà molto complicato. Ma dobbiamo farlo. Continuare a porsi domande fa certamente parte dell’agire di ogni individuo, ma l’altra parte consiste nel vivere e nel prendere posizione rispetto a ciò che ci accade attorno. Facciamolo.

Mimmo Carretta
(segretario metropolitano Torino del Partito Democratico)

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