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domenica, 8 Settembre 2024

Se condannassimo la violenza sulle donne non solo il 25 novembre…

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Rosanna Caraci
Rosanna Caraci
Giornalista. Si affaccia alla professione nel ’90 nell’emittenza locale e ci resta per quasi vent’anni, segue la cronaca e la politica che presto diventa la sua passione. Prima collaboratrice del deputato Raffaele Costa, poi dell’on. Umberto D’Ottavio. Scrive romanzi, uno dei quali “La Fame di Bianca Neve”.

In giornate come questa, resta l’amarezza di constatare l’utilità della loro esistenza. 
E a confermarlo, crudi nel loro essere asettici, ci sono i numeri dell’Istat. Le violenze domestiche tra marzo e giugno 2020 sono raddoppiate e il dato si basa sulle telefonate di richiesta di aiuto via chat al 1522, il numero antiviolenza, che sono passate da 6.956 a 15.280 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Contestualmente, è proprio durante il periodo di lockdown, ovvero tra febbraio e marzo 2020, che il numero di segnalazioni ai centri antiviolenza è considerevolmente calato, riducendosi in alcuni casi oltre il 60 per cento, molto probabilmente dovuto al periodo di isolamento in casa. 

Verbale, fisica, violenze assistite quelle, cioè, alle quali “partecipano” come testimoni i figli, anche piccoli: secondo il report di Telefono Rosa a marzo di quest’anno, erano 778 le donne accolte e prese in carico dall’associazione; altre 388 sono state accompagnate alla rete dell’assistenza con le agenzie del privato sociale e istituzionale dei servizi, mentre sono 4.003 le consulenze on line, via web e social network. Stabili le differenze tra fasce di età, occupazione, presenza di figli, 665 dei quali sono minorenni; a questo proposito, lo scorso anno sono stati 371 i minori vittime di violenza assistita e 193 quelli oggetto di violenza diretta. Nei percorsi di allontanamento dalla violenza sono state erogate consulenze legali per 480 donne, 287 sono le donne che hanno usufruito invece della consulenza psicologica, 90 quelle che hanno partecipato ai gruppi di sostegno, oltre a 57 donne per le quali è stata attivata la risorsa della casa rifugio. Un ennesimo tragico bollettino di quotidiana e reiterata violenza, che le operatrici dell’accoglienza hanno fronteggiato con la loro opera anche il sabato e in orari serali: impegno incessante per una emergenza permanente che non guarda né il calendario né l’orologio, e non finisce mai. 

All’inizio del lockdown di questo inverno, c’è stata un’iniziale diminuzione delle chiamate, fino al 50 per cento, perché c’era una situazione nella quale tutti eravamo chiusi in casa, per le donne non c’era nemmeno il modo di chiamare, dato che in alcuni casi il motivo per cui si viene chiamati è il convivente – dice Silvia Sandri psicologa operatrice volontaria del Telefono Rosa – . Sentivamo le donne mettendoci d’accordo, quando andavano a fare la spesa, dividendo anche la conversazione in più giorni. I canali on line e il numero telefonico sono sempre stati attivi. Dalla fine di maggio, il nostro lavoro è stato tanto, anche in conseguenza della situazione di sofferenza che le donne avevano vissuto. Molte si sono rivolte a noi anche per sostegno psicologico. Le donne venivano regolarmente a ogni appuntamento, mentre oggi ciò si verifica un po’ meno a causa della nuova restrizione e alle precauzioni dovute al Covid. Il primo colloquio viene fatto telefonicamente per ridurre gli ingressi in sede ma poi i colloqui coi legali e con gli psicologi avvengono di persona”.
Le donne vengono da noi perché vogliono emergere da una situazione di disagio e condividerlo – precisa Sandri – e non necessariamente per denunciare o per separarsi. Chiamare violenza i fenomeni che subiscono è già un risultato importante. Non non spingiamo a fare denuncia. Se la donna sceglie, è supportata”.
Spesso i figli sono anche uno stimolo per le donne a chiedere aiuto. Spesso arrivano al Telefono Rosa quando vedono gli effetti della violenza assistita sui figli, perché essi stessi cominciano a essere aggressivi come il papà, perché è quello l’esempio relazionale che hanno, oppure perchè hanno problemi coi coetanei o nel rendimento a scuola.

La parola all’avvocato

Sui passi avanti fatti dalla legislazione, l’avvocato Maria Grazia Cavallo, penalista, patrocinante avanti le Magistrature Superiori Specializzate ed avanti alla Suprema Corte di Cassazione sottolinea “in Italia siamo finalmente pervenuti a costruire buoni strumenti legali per contrastare questo fenomeno. Anche gli operatori giudiziari sono attualmente formati in modo specifico: perché oltre alla vittimizzazione primaria è sempre costante il rischio che la donna, che ha trovato il coraggio di denunciare la violenza, si senta poi sopraffatta ed offesa quando entra nel circuito giudiziario, costretta a replicare davanti a soggetti estranei quanto ha patito. Questa è la cosiddetta vittimizzazione secondaria. Il codice di procedura penale attualmente protegge da questi rischi”. 
Certamente tutto è migliorabile, ma quello che più occorre fare oggi è lavorare sull’educazione. Argomento sul quale insistere. “Non si può contare soltanto sulle famiglie: non sempre sappiamo cosa avviene davvero all’interno di esse.  Si deve invece rafforzare un’opera educativa nei confronti del rispetto di ogni diversità. Ritengo che con le parole giuste questo tipo di educazione debba cominciare fin dai primi anni della scuola materna, perdurare per tutta la vita, permeare la cultura, gli strumenti di informazione, il linguaggio – sottolinea Cavallo –. Occorre dare una formazione antidiscriminatoria che sappia rispettare ed accogliere tutte le differenze e soprattutto tutelare i soggetti più fragili: le donne, i bambini, gli anziani.

Parità: il peso delle parole e la loro combinazione

“ Parlare di parità in senso superficiale finisce con lo spianare le caratteristiche dei generi – a dirlo è Enrico Prenesti, docente di chimica all’Università di Torino e studioso della linguistica. Ha pubblicato un saggio, “Parole che creano”, che individua quale sia il profondo significato di parole che condizionano il nostro essere fin dai primi giorni di vita. “L’educazione andrebbe fatta innanzi tutto sulle differenze neuropsichiche di genere, e nell’ideare una società che a parità di diritti e di opportunità esalti entrambi, con contributi che per un maschio e una femmina sono diversi. La diversità deve essere conosciuta e esaltata, non annullata. Parole che imbrigliano, che liberano, che confondono. Come la stessa combinazione di parole “parità di genere”, che lascerebbe spazio a diverse interpretazioni causando così, spesso, il rischio alle riflessioni di andare fuori tema.

L’antidoto alla violenza di genere non è tanto la rincorsa alla “parità di genere” ma la valorizzazione delle differenze. Viviamo in una società che sta pian piano disconoscendo una serie di differenze soprattutto neuropsichiche, non solo somatiche – conclude Prenesti –. Un maschio e una femmina rispondono agli stimoli in modo diverso, perché hanno attitudini diverse ai compiti. La società invece tende a chiedere che maschi e femmine debbano rappresentare identici contributi”.

La testimonianza: “Eri più mansueta quando ti ho conosciuta”

E.G. è una donna cinquantenne e ha alle spalle una storia di violenza domestica delle più insidiose: quelle che non lasciano lividi, perché il carnefice non ti picchia ma che rosicchia volta dopo volta, abuso psicologico dopo abuso, un pezzo della personalità, dell’anima, della stima in sé stessi. Oggi è in terapia, e scrive: il suo romanzo è di prossima uscita. Una via per esternare, per provare a coniugare la libertà finalmente acquistata al sentimento, il cervello al cuore.

Me lo presentò un’amica, a una cena: stavo uscendo a fatica da una relazione sentimentale ed ero molto triste. Lui era simpatico, mi fece sorridere – racconta – . Continuammo a frequentarci, stavamo bene. Avevamo storie e interessi molto diversi ma lui mi faceva intendere senza troppi giri di parole che era molto interessato a ciò che facevo e che comunque mai mi avrebbe impedito di lavorare nel mio ambiente”.

I tempi sono stati velocissimi. “Siamo andati a vivere insieme dopo cinque mesi dal nostro primo incontro. Ci siamo sposati. Da allora è cambiato tutto – ricorda la donna – . Come se prima io avessi frequentato un altro uomo: nulla di ciò che io facessi andava bene, il mio lavoro era diventato una sciocchezza, inutile, degno di essere deriso. Così ho smesso di lavorare. Salvo poi poter ricominciare solo se lavoravo con lui. Sono arrivati i figli ma la situazione non è migliorata”.

Come ci si sente quando la storia scritta per te dal tuo compagno cambia e dal “noi” si passa improvvisamente all’ “io” che comanda? “Mi sono sentita tradita e non ho capito ancora oggi il perchè di quel cambiamento. Se non gli andavo bene, perchè ha scelto me? Voleva cambiarmi, manipolarmi. Disse che a lui piacevano le bionde e mi obbligò a cambiare colore dei capelli” .

E poi E.G. ricorda “Mi disse che quando mi aveva conosciuta ero più mansueta, ha usato proprio questo aggettivo. Mi diceva che ero troppo intelligente, che leggevo troppo e che leggere invita a farsi domande e questo non è cosa buona. Avevo persino scritto un libro, prima di questo in uscita, e mi prendeva in giro anche davanti ai miei amici, perché era secondo lui una sciocchezza.” 

Ho sopportato per i miei figli, ma a un certo punto no ce l’ho più fatta e sono venuta via. Ero senza soldi, senza un conto, senza la mia auto perché non era intestata a me. Come se non esistessi. Ho scoperto che aveva fatto il vuoto intorno a me, non mi credeva nessuno – conclude la donna – . Era stato bravo a raccontare sempre la sua versione dei fatti senza che io dicessi la mia. Ho perso un’amica, che mi ha rinfacciata di essere ingrata difronte a un uomo che mi adorava. Però tutti gli altri amici mi sono stati vicino. Ne sono uscita, grazie a loro e grazie alla psicologa del centro antiviolenza. Solo rompendo definitivamente, riesci a uscirne”.

In città. Difendersi dall’aggressione. Il corpo come terapia e scudo

Quando si esce di casa, di sera tardi, quando si rientra dal lavoro e fuori è troppo buio, in particolare in quartieri dove l’illuminazione non è all’altezza, la città fa paura alle donne. E’ una delle ragioni per cui aumentano le iscrizioni ai corsi di difesa personale femminile: le arti marziali e gli sport da combattimento sono in testa alle preferenze del gentil sesso. In alcune palestre si registra il 50 per cento dell’aumento delle adesioni. 

Davide Salis, fondatore della palestra Spartan Torino, prima del lockdown aveva registrato un aumento del 50 per cento di iscrizioni femminili al corso di boxe.
Non basta la tecnica ed è importante diffidare da quei corsi che illudono di diventare invincibili. Poche lezioni non sono sufficienti. Seguire le mode è pericoloso. Un uomo sa che la donna potrebbe reagire a un’aggressione tirando i capelli o coi calci. Ciò che conta è spiazzare – dice Salis – . E’ sempre meglio essere in grado di respingere o ritardare l’aggressore e guadagnare la strada migliore per scappare. Ma quando purtroppo lo scontro non è evitabile, la donna deve essere preparata atleticamente e psicologicamente per affrontare una colluttazione. 
Ed ecco che la difesa personale diventa un”arma che la donna ha in borsa, qualcosa che non deve essere usato ma se serve, è lì, pronto.
Ci sono donne che arrivano qui e vogliono iniziare a picchiare a sacco – conclude Salis – . Dico loro che prima devono essere preparate atleticamente. In discipline che le donne scelgono spesso, come il krav maga, si lavora soprattutto sul livello di stress del fisico sempre più alto sollecitato da poche mosse, ma fondamentali. Coniugare cervello a corpo ed emozione è indispensabile”.
Nel Paese che solo nel 1981 ha abolito il delitto d’onore c’è ancora molto da fare: a cominciare dalla nostra cultura secondo la quale “lei se l’è cercata”, “così vestita non doveva uscire”, “se va a certe feste poi sa come finisce”. O ancora “Ha ucciso la moglie ma era un bravo ragazzo”. No. Non ci sono bravi ragazzi. Ci sono assassini. Non ci sono dei ma. Dei se. Dei però. Ci sono azioni criminali, folli, cattive, che devono essere riconosciute nel giusto colpevole. Quando in questo Paese le donne vittime di violenza e stupro potranno scendere dal banco degli imputati, sarà un giorno migliore.

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