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venerdì, 18 Ottobre 2024

Quale futuro per il Palazzo del Lavoro?

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Riccardo Graziano
Riccardo Graziano
Figlio del boom demografico e dell'Italia del miracolo economico, vive con pessimismo non rassegnato l'attuale decadenza del Belpaese. Scopre tardivamente una vocazione latente per il giornalismo e inizia a scrivere su varie testate sia su carta stampata sia su web.

Il Palazzo del Lavoro, opera dell’architetto Pier Luigi Nervi, è entrato a far parte del patrimonio architettonico di Torino in occasione delle celebrazioni di Italia ’61, indette per festeggiare la ricorrenza del centenario dell’Unità d’Italia. Ma dopo la fine della manifestazione, nel volgere di breve tempo e salvo rare occasioni, ha finito per conoscere l’abbandono, non avendo una funzione specifica, come spesso accade alle opere edificate per eventi estemporanei.
In anni recenti, la proprietà (Pentagramma Piemonte SpA, partecipata al 50% da Cdp Immobiliare e dal gruppo Gefim, che ha una lunga tradizione nel ramo immobiliare del capoluogo subalpino) ha presentato un nuovo ed ennesimo progetto “di recupero”, prospettando l’insediamento di una galleria commerciale, una soluzione che pare inserirsi nello stesso filone che da tempo imperversa in città, con il proliferare di numerosi punti vendita di medie e grandi dimensioni che vanno a sostituire nel tessuto urbano post-industriale le attività produttive cessate. Ma l’iniziativa, che pure aveva trovato il favore della precedente Amministrazione torinese, si è scontrata con le istanze di parte della cittadinanza, in particolare quella residente in zona, ma non solo, che ha immediatamente evidenziato le criticità insite nel progetto proposto. La situazione si è oltremodo complicata col cambio di Giunta a Palazzo Civico, dove i pentastellati hanno a loro volta espresso perplessità su quanto prospettato dai proponenti.
Nei giorni scorsi in Circoscrizione 8 si è tenuta una Commissione aperta, che oltre alla Giunta e al Consiglio circoscrizionale ha visto la partecipazione della proprietà a confronto con associazioni e singoli cittadini che hanno colto l’opportunità di motivare il proprio dissenso. Ad aprire e chiudere il dibattito, è intervenuto anche il vicesindaco Guido Montanari, in qualità di assessore all’Urbanistica, il quale ha evidenziato le tre priorità dell’Amministrazione: salvaguardia delle specificità architettoniche dell’edificio; tutela del verde esistente; gestione dei volumi di traffico indotti da un intervento di tale portata. Un approccio giudicato incompleto dai rappresentanti del piccolo commercio, visibilmente preoccupati per le ricadute socio-economiche rivenienti dall’inserimento sul territorio di uno spazio distributivo di tale ampiezza. A poco sono valse in tal senso le rassicurazioni rilasciate a nome della proprietà da Stefano Ponchia, dirigente della Gefim e AD di Pentagramma SpA, il quale ha esplicitato che la struttura dovrebbe assumere le caratteristiche di galleria commerciale, nel solco di altre realtà storiche del commercio torinese, con l’inserimento di singoli negozi di dimensioni medio-piccole e senza la presenza di un supermercato alimentare. Una prospettiva che comunque non rasserena gli animi dei dettaglianti della zona, provati in alcuni casi dai disagi per i lavori di prolungamento della metro fino a piazza Bengasi e più in generale dal perdurare di una crisi di cui non si intravede la fine.
Inquietudini simili riguardano anche il traffico veicolare, attualmente già piuttosto caotico, che vedrebbe un ulteriore appesantimento per l’afflusso della clientela nel nuovo centro commerciale. Anche qui, Ponchia si è prodigato nel sottolineare come, d’intesa coi rilievi mossi da varie parti, si sia provveduto a spostare gli ingressi del parcheggio sotterraneo e si siano spostate a livello interrato anche le attività logistiche prima previste a raso, cancellando anche un certo numero di posti auto. Una risistemazione che ha consentito di salvaguardare anche i terrapieni dove dimorano alcuni alberi ad alto fusto, che in caso di posti auto sottostanti avrebbero finito per ritrovarsi a dimora su soletta, una condizione evidentemente più critica per le radici, come evidenziato da alcune osservazioni mosse da cittadini e associazioni preoccupati da eventuali impatti dell’intervento sul verde esistente, già di per sé in condizioni critiche a causa della scarsa manutenzione. Un problema che riguarda comunque tutto il complesso, troppo a lungo lasciato al degrado e privo di sorveglianza, tanto da subire anche i danni di un incendio doloso.
Non bastasse, oltre a tutte le problematiche sopra elencate – preoccupazioni di ricadute sul commercio locale, snaturamento dell’edificio storico, probabile depauperamento del patrimonio arboreo- ce n’è una che dovrebbe essere dirimente, sempre in relazione ai flussi di traffico presenti e prevedibili in prospettiva. Si tratta del progetto di sottopasso al di sotto della rotonda Maroncelli, che dovrebbe consentire di alleggerire il traffico dell’attuale nodo di intersezione con Corso Unità d’Italia, già oggi a livelli critici. Si tratta di un opera dal costo non indifferente, che prudenzialmente potremmo valutare sui 13 milioni di euro, con probabile tendenza a lievitare, come spesso accade nel nostro Paese. Una spesa notevole, ma poca cosa rispetto all’intervento globale, per il quale ancora Ponchia ha prospettato un investimento di 130 milioni di euro, dieci volte tanto. Tuttavia, sulla faccenda del sottopasso i proponenti si sfilano, dandone la completa responsabilità alla parte pubblica, la quale dal canto suo pare non avere minimamente le risorse finanziarie per cantierizzarlo. Questo a prescindere dalle criticità già evidenti, come la necessità di spostare le condotte delle acque potabili di Smat e del teleriscaldamento di Iren, nonché i rischi di uno scavo in terra di riporto, come evidenziato dal puntuale intervento del geologo Olmi, che ha sottolineato la pochezza e l’inadeguatezza dei rilievi effettuati finora a fronte di un intervento così ampio e complesso nella sua interezza, dal sottopasso al Palazzo del Lavoro stesso, su una superficie di oltre 60.000 metri quadri. Un intervento che oltretutto avverrebbe in una zona a elevata antropizzazione e dove sono in programma numerose altre operazioni rilevanti, dal già ricordato prolungamento della metropolitana al redivivo grattacielo della Regione, dal raddoppio di altri centri commerciali alla Città della Salute. Uno sconvolgimento urbanistico che necessita di una VAS (Valutazione Ambientale Strategica) più ampia e articolata, con una visione d’insieme che tenga anche conto di un altro “dettaglio” di non poco conto: tutto ciò di cui stiamo parlando riguarda, ancora una volta ed esclusivamente, la zona sud della città, mentre nelle periferie nord poco o nulla si muove, se escludiamo il cantiere previsto in corso Grosseto, altra opera su cui ci sarebbe molto da ridire. Uno sviluppo asimmetrico che rischia di squilibrare il baricentro cittadino, portando a scompensi e differenziazioni difficili da gestire per una città ancora in cerca di una sua nuova e definita identità post-industriale.

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